Equalization Web TaxL'IDEA PER IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO

L’Italia, come altri paesi Europei, non ha ancora introdotto un regime fiscale che regolamenti l’acquisizione di dati da parte di operatori stranieri del web. Perché non introdurre un’equalization tax invece di colpire gli investimenti produttivi?

Il Governo è alla ricerca di risorse per realizzare almeno una parte di quanto proposto nel Contratto di Governo, per esempio la riduzione della pressione fiscale. C’è però un pericoloso paradosso. Per ridurre alcune tasse, il Governo potrebbe introdurne di altre che colpiscono i consumatori.

TASSARE DI PIU’PER TASSARE DI MENO Perché invece di colpire i consumatori non spostiamo la tassazione verso soggetti maggiormente privilegiati, coloro che godono di fiscalità ridotta e sono protetti da interessi burocratici e corporativi?

PERCHE’ È IMPORTANTE In Italia le tasse e costi burocratici gravano maggiormente sugli investimenti produttivi, tra i quali spicca il lavoro. Il Governo ha dunque l’opportunità di introdurre un regime fiscale che coinvolge anche gli operatori stranieri del web attraverso l’introduzione di una equalization tax, come anche indicato dell’OSCE (per consultare la documentazione per intero clicca qui). Questa equalization tax si basa sul volume di dati personali che gli operatori stranieri del web riescono ad acquisire. il Governo potrebbe garantire maggiori entrate dall’acquisizione dei big data, finora gratuita.

TENTATIVI FALLITI   L’introduzione di un’imposta sugli e-fatturati, approvata durante la scorsa legge di bilancio, rischia di rivelarsi un fiasco semmai dovessero essere implementata. Allo stesso tempo, l’Unione Europea – nel corso degli anni – non ha compreso gli effetti della globalizzazione legati all’economia della rete, provando (senza successo) ad introdurre una tassa unica europea. Come fare allora?

AGGIORNARE LE REGOLE DEL GIOCO   È urgente una revisione del concetto di stabile organizzazione – oramai legato a principi socio-economici del passato – in modo che sia aderente alle nuove forme di economia digitale. Ad esempio, il Governo Estone ha avanzato una proposta alla commissione Europea, sottolineando come le imprese che traggono gran parte dei profitti dal business dei dati debbano essere considerati una presenza fisica sostanziale anche nei mercati nazionali. Le legislazioni nazionali ed Europee sono state poco capaci nel raccogliere gettito fiscale dai giganti del web.

WEB TAX SUI BIG DATA   Questo impianto fiscale è già stato introdotto nel Regno Unito con la diverted profit tax, allineata con la vigente normativa internazionale. Relativamente alla collezione di big data, è da considerare anche la proposta di Arthur Cordell, consistente in un’imposta relativa ai bit collegati ai big data acquisiti – 0,000001 di dollaro per bit.

Sulla base di quanto proposto, queste nuove forme di “web tax” potrebbero garantire incassi pari a circa 4 miliardi di euro l’anno. Una somma significativa che potrebbe essere utilizzata per compensare una riduzione fiscale sugli investimenti produttivi (i.e costo del lavoro, investimenti in R&D, formazione etc.) e allo stesso tempo renderebbe la regolamentazione del mercato in linea coi cambiamenti della digital economy.

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