Quando Votare non è un Doveredi Giacomo Bandini

Recentemente mi è capitato di partecipare ad un’interessante conferenza sull’astensionismo organizzata dalla Fondazione Magna Carta. Questa parola, astensionismo, negli ultimi anni è diventata lo spauracchio preferito della politica e dei giornalisti. La sua importanza, tuttavia, non consiste nel fatto di essere stata messa al centro dell’attenzione mediatica. Chi si astiene infatti rappresenta in senso più ampio la società contemporanea e le difficoltà di chi deve/vuole fare politica. Analizzare questo fenomeno è fondamentale per capire i cortocircuiti delle democrazie rappresentative sia sul piano strutturale sia su quello culturale.

Nelle ultime tornate elettorali, nazionali ed amministrative, è stata registrata l’affluenza più bassa della storia della Repubblica italiana. I sondaggi hanno così iniziato ad analizzare questo dato, precedentemente poco considerato. E così oggi non è raro trovare un articolo di giornale che, il giorno dopo una qualsiasi chiamata alle urne, dichiari che “il primo partito è l’astensionismo”. Ma chi è questo popolo che alcuni considerano irresponsabile al grido “votare è un dovere!” e che altri invece guardano con timore e/o curiosità accademica?

Rassicurati sul fatto che sono persone normali, come tutti noi, è necessario iniziare dalla parte quantitativa. Quanti sono, quanti erano? L’Italia, rispetto alle altre democrazie occidentali, è sempre stata un’anomalia. Andavano a votare tutti (oltre il 90%) e fino al 1992 gli astenuti non hanno mai superato l’11% degli aventi diritto alle elezioni politiche. Nel 2013 hanno raggiunto la considerevole percentuale del 24,8% ed oggi i sondaggi dicono che l’astensionismo vale più del il 30%. Forse si ridurrà con l’avvicinarsi del 4 marzo, ma la cifra è verosimile.

Perché non votano? Secondo IPR Marketing si dividono in tre categorie: consolidati, infuriati e delusi. I primi non sono proprio interessati alla politica che in alcun modo li coinvolge. I secondi invece sono vicini ai temi della politica, sono chiusi nelle cosiddette “echo chambers” ossia sono attenti e reattivi a tutto ciò che conferma il loro giudizio pre-formato, vivono con frustrazione il fatto di non riuscire a incidere sulle decisioni e di questo incolpano chi le deve prendere. I delusi, infine, sono mobili per quanto riguarda la scelta dei partiti o dei candidati, sono interessati alle elezioni e potrebbero mobilitarsi all’ultimo momento.

Che cosa vogliono gli astensionisti? Prima di tutto, un leader affidabile con esperienza politica e dal curriculum adeguato che sia in grado di prendere decisioni forti e coraggiosi e, soprattutto, che mantenga una certa coerenza nel suo operatopolitico. È importante che abbia la capacità di sfidare il potere politico e difendere i cittadini. Lavoro e sviluppo economico sono tra le priorità del loro governo ideale insieme alla sanità e alla scuola. Fra le emergenze maggiormente percepite ci sono la violenza sulle donne e le disuguaglianze sociali. Il livello di fiducia nello Stato e nelle Istituzioni Pubbliche, così come ovviamente nei partiti, è sotto i piedi.

Possiamo dire che gli astenuti, oggi, sono il riflesso di ciò che è successo negli ultimi anni di storia politica italiana. Affidarsi ad un uomo forte con curriculum e comprovata esperienza politica, in grado di rottamare ciò che è vecchio e non funziona: fa pensare al primo Renzi, quello del 40%. La delusione e la rabbia nel non vedere un miglioramento della propria condizione e nel non avere peso decisionale ricordano il primo Movimento 5 Stelle e la Lega, anche quella del ‘92. L’uomo in grado di scardinare la politica tradizionale con toni forti e coraggiosi è il Berlusconi del ’94.

L’Italia è rimasta sempre lì, alla fase di startup dopo la botta di Tangentopoli. Mi astengo, ma pretendo partecipazione. Mi arrabbio, provo a cambiare, rinuncio. La politica, ondivaga e malleabile per natura, ha provato ad assorbire questo “mappazzone” di sentimenti, generando solamente ulteriore disgusto e gonfiando le file di chi non sa a chi dare il proprio consenso elettorale e si sente sperduto. I leader hanno la stessa vita di una farfalla e non sono più in grado di consolidare ilproprio potere. Dunque non sono nemmeno in grado di essere coerenti e di prendere decisioni scevre dal condizionamento esterno che è quello che invece chiedono i cittadini.

Che cosa distingue, allora, gli astenuti dai votanti. Niente. Solo che non lo sanno e, forse, nemmeno chi prova a studiarli se ne accorge. Come un cane che si morde la coda pensando sia di un altro.

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