Altri Quindici Mesi per Sapere se si Tratta di una Vera RipresaL'articolo di Stefano Cianciotta per Il Messaggero

Saranno la restante parte del 2017 e il 2018 a dirci se la “ripresina” abruzzese sarà congiunturale o strutturale. Se, in parole semplici, si tratta di un fuoco di paglia o se invece la tendenza qualifica una crescita più consistente, che al momento non c’è e non si vede.

Dopo un inizio di anno drammatico (l’Abruzzo al 31 marzo 2017 aveva registrato secondo l’Istat 464.000 occupati, il dato più basso dagli inizi del 2000, con una perdita rispetto al 2016 di 17.000 posti di lavoro), il II Trimestre 2017 fa segnare un primo segnale di riequilibrio, con 485.000 occupati.

Quei 21.000 posti di lavoro in più, infatti, non qualificano ancora una ripresa economica, perché vanno appunto nella direzione di riequilibrare una diminuzione che agli inizi 2017 si era fatta preoccupante, perché aveva fatto registrare la punta più bassa negli ultimi quindici anni.

Ad analizzare la serie storica Istat dal 2008 ad oggi (allora l’Abruzzo contava 511.000 occupati) nel decennio più difficile dal dopoguerra ad oggi la regione ha perso 36.000 posti di lavoro (con una punta di 57.000 raggiunta appunto nel I trimestre 2017), pari al 7%, un dato che la colloca tra le regioni che hanno pagato il tributo più alto alla crisi economica scatenata dai mutui subprime (la media italiana ha oscillato tra il 6 e il 7%).

Sono stati soprattutto gli anni dal 2013 in poi a far registrare il periodo più difficile sotto il profilo occupazionale, perché si è passati dai 500.000 occupati del 2012 ai 486.000 dell’anno successivo, fino ai 476.000 del 2014. Nel 2015 e nel 2016 si è assistiti ad una flebile ripresa, perché gli occupati sono diventati dapprima 479.000 e poi 485.000. Negli ultimi cinque anni, due a guida del centro-destra con Chiodi e tre a guida centrosinistra con D’Alfonso, in Abruzzo non sono stati creati posti di lavoro, ma si è oscillati sempre tra intervalli regolari, quasi fisiologici tra posti creati e cessati. Un equilibrio che è servito in buona sostanza a galleggiare, per evitare di cadere in una spirale negativa dalla quale (si veda il dato particolarmente negativo del I trimestre 2017) sarebbe stato complicato riemergere, soprattutto perché nel frattempo si è sfaldata la consistenza delle Pmi e del sistema artigianale.

E se nel biennio 2011-2012 la regione aveva tenuto botta alla crisi, con una punta di 500.000 occupati nel 2012, dall’anno successivo in poi l’Abruzzo non è riuscito più ad invertire la tendenza.

Il flebile aumento fatto registrare adesso nel II trimestre 2017, quindi, non può essere letto né in modo entusiastico, né con toni di fallimento.

E’ un dato che in sé dice poco, perché non solo si tratta come del resto d’Italia di occupazione instabile e in prevalenza a tempo determinato, ma soprattutto perché non indica ancora una tendenza. Solo la restante parte di questo anno, e soprattutto il 2018, ci diranno se l’Abruzzo è tornato a camminare o se procederà ancora a passi lenti. Difficilmente, però, tornerà a correre come nel 2008. Almeno nel breve-medio periodo.

 

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