L’Italia Non Riparte. Tre Scenari per il FuturoL'idea di Competere

La crescita economica italiana resta debole. Gli ultimi dati confermano una sostanziale stagnazione. Nonostante la recessione sia alle spalle, l’economia fatica a crescere. Il resto d’Europa invece, fa decisamente meglio, anche se diversi indicatori restano incerti.

Tra dicembre 2016 e febbraio 2017 la produzione industriale è cresciuta solo dello 0,7%; ad aprile 2017 i prezzi al consumo sono aumentati dell’1,8% rispetto allo scorso anno, mentre l’indice del clima di fiducia dei consumatori è calato dal 107,6 al 107,5 di marzo. Solo il commercio estero ha dimostrato maggiore dinamicità: le esportazioni sono cresciute del 3,7 per cento e le importazioni del 5,6 (Istat Aprile 2017).

I problemi sono i soliti:

Rigidità strutturali. Alti livelli di debito limitano gli investimenti e la crescita della produttività. Inoltre, l’invecchiamento della popolazione ha ridotto i consumi facendo aumentare i risparmi.

La crescita è bassa. Senza le riforme il potenziale si riduce. Negli ultimi 20 anni, il Pil è cresciuto a una media annuale dello 0,46%.

La disoccupazione è cronica. La disoccupazione mantiene i salari fermi e i redditi reali stagnanti. A marzo 2017, il tasso di disoccupazione è salito all’11,7% e rimane al di sopra dei livelli pre-crisi e della media della zona euro (9,5%).

Il debito pubblico continua a crescere. Ossia il secondo più alto della zona euro, dopo la Grecia. I 20 miliardi stanziati per le ricapitalizzazioni precauzionali delle banche in crisi peseranno ulteriormente sulle finanze pubbliche.

Il sistema bancario è in difficoltà. Per i necessari aumenti di capitale servono 40 miliardi di euro (suppergiù il 2,5% del Pil). Va ricostruito l’intero settore e per evitare ulteriori interventi pubblici vanno rimessi in ordine i bilanci degli istituti in crisi, risolvendo le sofferenze.

I rischi politici aumentano. Il Governo Gentiloni è percepito come provvisorio e troppo debole per attuare riforme efficaci, mentre forze euroscettiche ed antisistema sono in ascesa.

L’aiuto della BCE non è eterno. Le banche rischiano di ottenere meno finanziamenti dalla BCE: nel decidere quanto credito erogare, è Francoforte a tenere conto dei rischi della garanzie prestate e la misura del rating più alto fra quelli delle quattro principali agenzie.

Uno sguardo strategico ai prossimi dieci anni lascia pochi dubbi: la situazione è destinata a cambiare. E nel lungo periodo, gli scenari possibili sembrano essere tre:

Scenario 1 – In assenza di riforme, l’uscita dall’euro verrà evitata grazie ad una progressiva condivisione dei rischi a livello Europeo, attraverso meccanismi gli Eurobonds, l’unione bancaria e lo schema unico di assicurazione dei depositi. Il processo sarà lento e implicito: la Germania accetterà la mutualizzazione senza dichiararlo esplicitamente, e i soldi tedeschi arriveranno in cambio di un rafforzamento della leadership di Berlino.

Scenario 2 – Riforma dell’Unione Europea e attuazione di riforme incisive in Italia. In un’Europa ripensata, il Governo potrebbe migliorare la competitività a lungo termine e ad attrarre investimenti, aumentando la crescita potenziale.

Scenario 3 – Uscita dall’euro. Il fragile contesto politico, la mancanza di riforme e l’impossibilità stabilizzare il rapporto tra debito e Pil possono portare al potere istanze populiste ed euroscettiche e tenere lontani gli investitori. L’uscita dall’euro comporterebbe con ogni probabilità un default e la ristrutturazione del debito pubblico, con conseguente collasso del sistema bancario.

L’inerzia è forte: i prossimi anni saranno caratterizzati da rischi politici elevati e crescita economica moderata. L’esito più probabile è lo scenario 1. Ma lo scenario 2 non è impossibile: eventi quali Brexit e l’elezione di Trump possono creare un “sentiment d’urgence” e divenire opportunità per: 1) ripensare il progetto europeo, riformandone e rafforzandone le istituzioni; 2) cambiare i Trattati (anche se questo richiede l’unanimità, la ratifica nei Parlamenti nazionali e – in alcuni Paesi – un referendum); e 3) creare le condizioni per investire attuando il piano Juncker. In presenza di tali fattori di crescita esterni, l’economia italiana potrebbe svilupparne di interni, attraverso riforme strutturali efficaci.

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