Le Fake News della Politicadi Lorenzo Castellani, 13 Aprile 2017

Oggi partiamo dalla dura realtà della storia. Secondo gli ultimi dati Ocse l’Italia è al top del G7 per incremento della pressione fiscale negli ultimi 50 anni: il gettito fiscale in rapporto al Pil è passato dal 24,7% del 1965 al 43,3% nel 2015, con un balzo dunque di oltre 18 punti percentuali. Se si guarda alla serie storica 1965-2015 proposta dall’ultimo Revenue Statistics 2016 dell’Ocse, l’Italia nel 2015 con una pressione fiscale al 43,3 %, è risultata al secondo posto del G7 per gettito in rapporto al pil e al primo per incremento delle tasse in 50 anni, +18,6 punti percentuali.

Al primo posto per pressione fiscale tra i Sette Grandi c’è la Francia al 45,5% nel 2015 dal 33,6% del 1965. In Canada il gettito in rapporto al pil si attesta al 31,9% rispetto al 25,2 del 1965. Nel Regno Unito la pressione fiscale è sostanzialmente stabile da 50 anni: al 32,5% nel 2015 dal 29,3%. Stesso trend negli Usa al 26,4% nel 2015 dal 23,5% dell’era Johnson. In Giappone si passa dal 17,8% del ’65 al 32% del 2014 (ultimo dato disponibile) con circa 14 punti di incremento. Insomma, se fossimo al Giro d’Italia saremmo maglia rosa per gli incrementi di tasse. Andiamo avanti.

Pochi giorni fa è uscito anche l’ultimo Rapporto della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica. Il cuneo fiscale in Italia supera di ben 10 punti la media europea. Il costo del lavoro, scrive la Corte, «riferito alla situazione media di un dipendente dell’industria, colloca al livello più alto la differenza fra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l’onere che si registra mediamente nel resto d’Europa».

Un andamento che era stato confermato anche dai dati Ocse del 2016 secondo i quali il peso del cuneo fiscale italiano, negli ultimi cinque anni, è passato dal 47,2 al 49%. Nonostante i proclami, e i tentativi, di abbassare il costo del lavoro da parte degli ultimi tre governi la situazione fiscale continua a peggiorare per imprese e lavoratori. Il total tax rate stimato per un’impresa di medie dimensioni, «testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte indirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti l’onere per l’omologo imprenditore dell’area Ue/Efta».

In questa classifica, cioè quella dei paesi che hanno la più elevato imposizione fiscale totale sulle imprese, l’Italia si colloca seconda in Europa dopo la Francia. Per i magistrati contabili, inoltre, esiste anche un problema di burocrazia che crea moltiplicazione di costi, infatti «anche i costi di adempimento degli obblighi tributari che il medio imprenditore italiano è chiamato ad affrontare sono significativi: 269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitor europeo».

Il ritornello del Governo è quello utilizzato da tutti quelli precedenti: tassare specifici settore e recuperare l’evasione (che fine ha fatto la spending review? Ah, saperlo…). Tuttavia, la Corte dei Conti avverte: «rilevante il contributo previsto dalle misure di contrasto all’evasione. Le difficoltà di verifica in sede di consuntivo, tuttavia, inducono cautela nell’utilizzare tali proventi, per loro natura incerti, per finanziare maggiori spese o riduzioni d’entrata certe», ciò significa, nella lingua volgare, che quanto viene recuperato dall’Agenzia dell’Entrate alimenta nuove spese dello Stato o riduzioni fiscali non coperte da tagli di spesa, operazioni che, nel lungo periodo, hanno portato all’aumento costante della pressione fiscale.

Inoltre, oltre il 55% del maggior gettito atteso da tutte le manovre dell’ultimo decennio è legato, spiega il rapporto, a lotta all’evasione, anticipazioni di gettito e da giochi e lotterie. Ovvero deriva da semplicemente dall’aumento delle imposte e dai controlli, non dall’allargamento della base imponibile, come invece dovrebbe accadere se ci fosse una ripresa della crescita economica. Insomma, lo Stato Italiano tappa i buchi delle proprie finanze con giochi d’azzardo e lotterie. Sembra una barzelletta per stranieri, ma è la realtà. Salvate l’erario, giocate una schedina.

Nel frattempo il dibattito politico continua a svilupparsi in una realtà parallela e surreale. Le vere fake news (perdonate l’ossimoro) sono le proposte dei partiti. Come già scritto da queste parti: Beppe Grillo avanti e dietro tutti quanti. Per paura di essere impopolari si è paralizzata qualsiasi misura possa anche solo essere percepita in tal senso.

A causa di questa paura, spesso abbinata ad una certa faciloneria, la lista delle policies failures (spesso nascoste dal rumore politico) degli ultimi governi è molto lunga: dalla buona scuola (fallito di fatto nuovo sistema di valutazione di presidi, docenti e studenti causa normativa blanda) alla riforma della PA (intervento della Consulta, ritorno del potere sindacale su questioni fondamentali come la produttività del lavoro pubblico, nessuna estensione del jobs act ai dipendenti pubblici, passo di gambero sulle municipalizzate), dalla concorrenza (fatte fuori regolamentazioni per servizi di Uber, Flixbus ecc, nessuna sostanziale liberalizzazione di altre attività) al Codice Appalti (iter lungo e tormentato, normativa farraginosa, gare crollate, creazione di oligopoli delle certificazioni).

Insomma, si è giocato solo sul campo sicuro nel breve termine: la stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione e l’elargizione di bonus alle diverse categorie. Però, secondo Renzi e compagni, la colpa di tutti i nostri mali è il vincolo esterno dell’Europa. Come scrive saggiamente Ferdinando Giugliano su Repubblica a proposito di Renzi “Qual è oggi il messaggio politico di Renzi? L’europeismo o il sovranismo? Il riformismo o la socialdemocrazia? L’impressione è quella di un leader sempre più in fuga da qualsiasi copertura di spesa o scelta impopolare.” Una frase che può essere tranquillamente replicata per gli altri leader politici i quali, infatti, sviano sapientemente l’attenzione tra le querelle e le celebrazioni interne (M5S e Casaleggio), la rinnovata sensibilità animale (Forza Italia), i posizionamenti internazionali (Salvini Matteo, attore geopolitico fondamentale), le fake inchieste giudiziarie (sinistra minoritaria varia). Insomma siamo all’omogeneizzato, al copia e incolla delle proposte politiche. Noia mortale e, soprattutto, pericolosa.

Continua così ad alimentarsi un “circolo dell’illusione”, del tutto auto-referenziale e completamente sfocato rispetto alle esigenze non solo di medio-lungo, ma anche di breve periodo del Paese. La Repubblica, infatti, pare oramai fondarsi su cinque principali illusioni che la politica cerca di rifilare ai cittadini.

  • L’illusione di fermare la distruzione creatrice dell’innovazione con le leggi, la burocrazia e i tribunali per tutelare specifici interessi frazionali, l’illusione di combattere la disoccupazione con i bonus pubblici e i vari redditi di cittadinanza invece che puntare il timone verso un sistema d’istruzione e riqualificazione moderno ed efficace nel preparare i lavoratore ad entrare, o tornare, sul mercato,
  • L’illusione di continuare a mantenere un sistema previdenziale a capitalizzazione pubblica (spesso con pulsioni di ritorno al sistema retributivo) invece di cercare una progressiva privatizzazione del sistema;
  • L’illusione di poter mantenere un apparato pubblico in cui i dipendenti siano del tutto slegati da meccanismi di valutazione e produttività, continuando a godere di un regime giuridico privilegiato rispetto ai colleghi del privato;
  • L’illusione di continuare a produrre deficit e debito, cioè a spendere senza coperture che non siano quelle dell’inasprimento fiscale e della polizia tributaria, mantenendo il sistema fiscale che abbiamo sopra descritto.

La situazione è grave, ma non seria. Non solo nelle stanze del governo, ma ovunque.

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