Materie prime: un piano in tre mosseL'IDEA DI ANTONIO PICASSO

La crisi ucraina ha fatto da acceleratore alla necessità di dotarsi di una politica industriale per le materie prime. È l’occasione per una trasformazione epocale della nostra industria.

UN DRAMMA POTENZIALMENTE A LIETO FINE

Da tempo Competere propone un piano industriale per le materie prime. La strozzatura delle forniture si era già manifestata prima della crisi ucraina. Tuttavia, con quest’ultima, l’emergenza si è estesa a più settori produttivi. Le sanzioni alla Russia di Putin hanno ricadute sull’energia. Lo stop alle importazioni di grano e semi di girasole stanno mettendo a dura prova la filiera dell’agrifood. La distruzione dell’acciaieria di Mariupol è uno shock per la siderurgia e le fonderie del nostro Paese. Con tutto quello che ne consegue in termini di settori correlati. Ora, tutto questo non è detto che sia un dramma. O meglio, è possibile che ci sia un lieto fine. Sulla carta, una crisi tanto acuta, sommata alle risorse del Pnrr, potrebbe finalmente cambiare i connotati della nostra industria. Affinché ciò accada però, gli ostacoli da superare sono: due di carattere geopolitico e uno prettamente economico industriale.

Più nel dettaglio:

1. MANOVRE EXTRA-UE

Rinunciando, almeno in parte, al gas russo stiamo opzionando altri mercati. A ben guardare però, nessuno degli interlocutori (Algeria, Angola, Congo) risponde ai nostri standard di partner affidabile. Non si pecca di scorrettezza nel dire che i regimi di cui sopra siano simili, in parte o del tutto, a quello di Mosca. Il rischio è quindi di passare dalla padella alla brace. Esclusa la carta dell’exported democracy, Europa e Stati Uniti – non si parla solo di Italia – possono permettersi di mostrare i muscoli.  La solidità finanziaria-monetaria (euro + dollaro) e la superiorità tecnologico-militare (Nato) sono due elementi di deterrenza tali da permetterci di chiudere contratti di forniture (non solo di gas, ma di commodity più in generale) da una posizione di superiorità. “Attento dittatore di turno, il boccino lo abbiamo noi, e se non ti comporti bene finisci come Putin”. Questa la minaccia da avanzare in missione. Ovviamente la diplomazia dovrebbe essere abbastanza spregiudicata da renderla più felpata senza edulcorarla. Perché sia efficace però, è evidente la necessità di rivedere i rapporti transatlantici. L’impero benevolo può ancora fare la voce grossa in quadranti quali l’Estremo oriente e l’Africa. È giusto che lo faccia anche a nome nostro? Sì, se poi ci torna in tasca qualcosa. Altrimenti Bruxelles deve irrobustirsi le spalle e andare a promuovere una sua politica estera con altrettanto vigore. In ambito Nato poi, i partner europei devono tornare ad assumersi la responsabilità di una sicurezza continentale “fatta in casa”. È da Obama che Washington vorrebbe spendere meno in Europa e nel Mediterraneo. Il che vuol dire aumentare le spese militari da parte di ogni singolo Stato membro. Se poi questo permetterà di ottenere materie prime a prezzi congrui alle nostre tasche e pure qualche passo in avanti nel processo di modernizzazione culturale e sociale (leggi democrazia) presso i mercati fornitori, tanto di guadagnato per tutti.

2. MANOVRE INTRA-UE

Sfugge il ricordo per cui è nata l’Unione europea. Ceca ed Euratom erano alla base del cammino di integrazione. I padri fondatori erano consapevoli che, per evitare altre inutili stragi (Prima e Seconda guerra mondiale), ci si sarebbe dovuti sedere a tavolino e capire come distribuirsi le risorse naturali che, al tempo, alimentavano agricoltura e industria pesante europea. Carbone, acciaio e grano. Guarda caso, più o meno le stesse “cose” che ci servono oggi per tornare a essere competitivi rispetto a Usa e Cina. Bisogna, in pratica, rivedere i fondamentali. Al netto – non banale – del fatto che le materie prime di allora oggi dobbiamo prendere altrove. “A te cosa e quanto serve?” La domanda è inequivocabile ed è questa che ci deve porre a Bruxelles. Quanto ti serve non solo per svilupparti, crescere, eccetera – perché questo implica una competizione interna all’Ue, in parte malsana – ma anche per evitare che la tua mancata crescita venga compensata dalla mia. È come in un condominio: io ho tot. millesimi, tu hai i tuoi. Mettiamoci d’accordo perché la facciata è da rifare.

3. MALI ITALIANI

Politica industriale vuol dire impegno delle parti coinvolte e non solo risorse distribuite dall’alto. Significa investimenti, progetti innovativi, coraggio. In una condizione di carenza di forniture ci sono delle alternative? Le fonti rinnovabili, sappiamo, non bastano a mandare avanti una macchina industriale. Questa però non è una risposta sufficiente per non integrarle con le risorse già in utilizzo. Stesso discorso per le politiche di riciclo e recupero dei materiali di scarto. Una seconda vita delle materie “non più prime” è possibile. Servono però studi e ricerche che, in un contesto di nano-imprese com’è quello italiano, sono difficili da rintracciare. D’altra parte, le soluzioni sono talmente note e alla portata di mano da essere banali. Reti d’impresa, consorzi, policy di managerializzazioni. Non ci vuole chissà chi per capire come crescere in termini di intero ecosistema produttivo. Parafrasando Pascal: tutte le buone teorie ci sono già, basta solo applicarle.

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