Spalancare le Porte in Uscita dal Mercato del Lavoro non Salverà Giovani e PILL'articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio, 13 Agosto 2016

La necessità di superare le rigidità in uscita imposte dalla legge Fornero (il cui obiettivo era quello di mettere in salvaguardia i conti del sistema previdenziale, generando – è bene ricordarlo – un risparmio nel decennio 2012-2021 di 81 miliardi di euro), ha impresso un’ accelerazione significativa alla proposta del governo di introdurre un prestito ventennale per ritirarsi dal lavoro con tre anni di anticipo.

L’ esecutivo, come è noto, intende mettere il provvedimento per le pensioni nella Stabilità, ipotizzando uno stanziamento di circa 1,5 miliardi di euro. Sommando invece gli interventi complessivi (che includono ad esempio anche 500 milioni per il ricongiungimento gratuito e il riscatto degli anni universitari) si arriva a poco più di 3,8 miliardi. Si tratterà di scegliere quali misure privilegiare, o di aumentare gli stanziamenti in bilancio per definire l’ effettivo contributo dello stato, con la conseguente calibratura delle detrazioni fiscali, per compensare la decurtazione dell’ assegno anticipato rispetto alla pensione piena potenziale, soprattutto a favore dei disoccu pati di lungo corso e dei lavoratori in condizioni particolarmente disagiate.

La corsa alla pensione flessibile, come ha opportunamente analizzato di recente in un focus anche l’ Ufficio parlamentare di bilancio, è condizionata quindi dalla necessità di calibrare l’ aiuto pubblico che accompagnerà questa operazione. Questo elemento, osserva l’ Upb, ha contribuito ad alimentare il dibattito sul canale di uscita più flessibile, anche se la maggioranza degli economisti ritiene che in generale i lavoratori anziani non sottraggano posti a quelli con meno esperienza. Soprattutto in periodi di crisi bruschi innalzamenti dei requisiti per l’ uscita – come è accaduto con la legge Fornero – possono avere effetti indesiderati e di fatto ingessare il mercato del lavoro. La produttività italiana, però, è ferma al palo da oltre un ventennio, e nel confronto dal 1985 a oggi è nella fascia dei paesi Ue con la crescita più bassa, nonostante ci fossero normative che favorivano l’ uscita anticipata dal mercato del lavoro, e quindi di fatto il turnover occupazionale.

Accelerare il sistema di flessibilità in uscita, quindi, può determinare in un mercato del lavoro segnato tragicamente dall’ altissima quota di giovani che hanno scelto di non studiare e di non formarsi (in Italia i Neet sono oltre due milioni), la perdita di competenze importanti, senza che possano essere adeguatamente sostituite.
Incentrare il dibattito esclusivamente sulle leve per favorire l’ uscita, senza valutare le azioni di politica attiva e di formazione per incentivare l’ occupabilità dei giovani può rilevarsi un pericoloso boomerang che rischia di impoverire un mercato del lavoro, quale è quello italiano, che nei prossimi venti anni vedrà scomparire il 56 per cento delle attuali occupazioni.

Il Cedefop è il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, organismo alle dirette dipendenze dell’ Unione europea. Nelle sue analisi periodiche sui trend del mercato del lavoro e sulla necessità di investire su un sistema di formazione qualificato, ha ridefinito le quote che i settori occupazionali attualmente in esercizio andranno a ricoprire nei prossi mi cinque anni. Tutti i settori tradizionali perderanno quote di mercato.

Dai trend del Cedefop l’ Italia si conferma un paese sempre meno industriale e più dedito ai servizi e al terziario, dato che trova conferma nel recente aumento dell’ autoimprenditorialità, cresciuta di 78 mila unità nel giugno 2016.
Occorre, pertanto, formarsi e specializzarsi per competere nel mercato del lavoro del futuro, nel quale i quindicenni di oggi cambieranno dai cinque ai sette lavori, molti dei quali non sono stati ancora inventati. Si discuta di flessibilità in uscita ma si ragioni sulle modalità per rafforzare le competenze dei giovani, a cominciare dalla ridefinizione di un piano generale dell’ offerta formativa che tenga conto dei cambiamenti organizzativi e tecnologici in atto sia in Italia che nel mondo.

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