Oltre la pratica degli scioperi. I sindacati siano rappresentanti del lavoro che cambiaL'idea di Antonio Picasso

Lo sciopero generale dello scorso 16 dicembre lascia in sospeso il dubbio sull’efficacia di simili iniziative nelle relazioni industriali. L’anacronismo delle manifestazioni di piazza va sostituito con una nuova identità delle forze sociali, che devono diventare incubatori delle pratiche più concrete del lavoro che cambia.

UNA PRATICA FUORI TEMPO MASSIMO

Al netto del suo successo o meno, lo sciopero generale dello scorso 16 dicembre lascia in sospeso il dubbio sull’efficacia di simili iniziative nelle relazioni industriali. Con i contagi del Covid che tornano a crescere, iniziative di piazza che hanno il sapore dell’assembramento dovrebbero indurre gli organizzatori a desistere. Ma questo è un problema minore. Confidiamo infatti nell’efficienza del servizio d’ordine delle forze sindacali. La questione è legata allo sciopero in sé, da un lato inteso come tecnica di coinvolgimento delle parti sociali del maggior numero possibile di iscritti, o comunque di chi i sindacati dovrebbero rappresentare, dall’altro come di confronto con chi siede alla parte opposta del tavolo: governo e imprese. 

DISINTERMEDIAZIONE E COVID 

Sul finire del 2021, con la pandemia in corso, il processo di disintermediazione merita un rapido bilancio. Il Covid ha permesso ai rappresentanti delle forze produttive di riprendere una piccola porzione del terreno perduto negli anni passati. Dalle norme di sicurezza igienico-sanitario a quelle sull’home working, imprenditori e lavoratori si sono affidati nuovamente agli esperti della materia. Questo però non significa che sindacati e associazioni di categoria siano tornati a vivere il loro “siglo de oro”, dei tempi andati, quando le riunioni per il rinnovo di un qualsiasi contratto di categoria si prolungavano fino a tarda notte, per poi saltare all’alba e concludersi finalmente con un compromesso che già tutti avevano in tasca, ma che la liturgia delle relazioni industriali non permetteva di sfoderare subito. 
 
Oggi i cambiamenti del mercato del lavoro restano legati ad altri fattori ben più strutturali piuttosto che a quelli contingenti del virus. Automazione, flessibilità contrattuale, frammentazione delle filiere di approvvigionamento, sostenibilità ambientale. Questi e altri sono fenomeni che si insiste a far finta di affrontare, senza arrivare a un dunque e che certo con uno sciopero non hanno nulla a che fare.
 
Una manifestazione di piazza è indetta per alimentare il risentimento. Peraltro, in questo caso, latente in categorie quali pensionati e lavoratori dipendenti le cui solidità economiche vengono tutt’altro che minacciate dall’attuale manovra.

FORZE SOCIALI NUOVE COERENTI CON LE SFIDE DI OGGI
Siamo nel pieno dell’economia della conoscenza. Chi avanza è l’individuo che ha skill e intraprendenza per farlo. Chi resta indietro ha tutti i diritti per disporre di una piattaforma di strumenti per aggiornare le proprie competenze professionali e riposizionarsi sul mercato del lavoro. La protesta può pungolare istituzioni e imprese a svincolare risorse utili a tal fine. Ma poi è nelle fabbriche e negli uffici che il conflitto deve prendere una piega di concretezza e propositività.
 
I sindacati non possono più permettersi di presentare a una platea sempre più ridotta argomentazioni distruttive. Percorsi di formazione, nuove iniziative di welfare aziendale, progetti bottom-up finalizzati a migliorare le pratiche di sicurezza e sostenibilità lungo tutti i processi produttivi. L’anacronismo dello sciopero va sostituito con una nuova identità delle forze sociali, che devono diventare incubatori delle pratiche più concrete del lavoro che cambia. All’insegna di una nuova solidarietà, fondata sulla crescita, devono farsi agenti di un Welfare che tenga la barra a dritta sul futuro. 

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