Dietro i Numeri la Crisi delle Piccole ImpreseL'Articolo di Stefano Cianciotta per Il Messaggero

Il Rapporto Svimez presentato due giorni fa sull’andamento economico delle regioni del Sud nel biennio 2015-2016 conferma quanto già sapevamo, e cioè che l’Abruzzo nonostante i segnali positivi del Meridione (a cui però fanno da contraltare alcuni indicatori preoccupanti come quelli sulla diminuzione delle nascite e sull’aumento dei giovani che preferiscono studiare e lavorare altrove) fatica a trovare una propria dimensione all’interno della ripresa del Mezzogiorno.

Il Mezzogiorno, si legge nello studio, è uscito dalla lunga recessione, e nel 2016 ha consolidato la ripresa, facendo registrare una performance ancora superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese. L’Abruzzo ha confermato le previsioni negative dello stesso Svimez registrando nello stesso periodo un – 0,2%.

Questa cifra, però, ci dice poco se non viene contestualizzata alla luce di quello che sta accadendo in questa regione in ambito industriale.

Il tessuto della piccola e media impresa e l’artigianato, il cuore dell’economia abruzzese, erano e continuano ad essere in forte difficoltà, come ha confermato anche di recente lo studio redatto dall’economista Ronci per conto di Cna Abruzzo.

La grande industria non riesce più ad incidere e deve fare i conti adesso con una globalizzazione resa ancora più competitiva dal decennio di crisi.

Delle 109 crisi industriali aperte in questo momento in Abruzzo, infatti, sono almeno 14 le crisi che riguardano le grandi imprese, un numero fisiologico perché a livello globale il sistema industriale si sta riposizionando, ma che può costituire un problema se queste tensioni dovessero contribuire alla diminuzione di ulteriore appeal dell’Abruzzo, come ha opportunamente segnalato il vicepresidente della Regione Lolli, che è preoccupato dalla fase di deindustrializzazione della regione.

E sarebbe un segnale molto negativo per un territorio che, soprattutto attraverso alcune misure innovative (si pensi alle Zone Economiche Speciali), deve tornare ad attrarre investimenti. Terreno, questo, sul quale la concorrenza europea e globale non fanno sconti, e sul quale l’Italia stessa paga un deficit fortissimo in termini di elevata pressione fiscale e alto costo del lavoro.

Proprio l’introduzione della ZES in Abruzzo assume un’importanza fondamentale per il sostegno alle politiche di sviluppo industriale e logistico del territorio, e costituisce certamente la misura più importante del Governo in tema di politica industriale insieme con il Piano Calenda. Il Masterplan ha tempi di gestazione di medio periodo perché siamo nella fase dei bandi di progettazione, e passeranno almeno 2-3 anni prima dell’apertura di possibili cantieri (la Fondovalle Sangro non sarà completata prima del 2020). Nel breve è soprattutto la ZES, istituita per attrarre investimenti diretti, la misura che deve essere resa concreta. Le fasi di progettazione e programmazione sono in capo alla Regione. Ancora una volta, quindi, il futuro dell’Abruzzo passerà dalla sua capacità di velocizzare i processi amministrativi.

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