Gli Algoritmi dell’Economia Digitale tra Proprietà Intellettuale e Diritti dei Lavoratori – FOCUSA CURA DI FEDERICO BRION

Gli Algoritmi dell’Economia Digitale tra Proprietà Intellettuale e Diritti dei Lavoratori – FOCUS

di Federico Brion, Junior Fellow at Competere

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INTRODUZIONE

Il complesso rapporto tra regole giuridiche ed economia è noto da tempo.

“Già nel 1933 Sinzheimer sottolineava lo stretto legame fra diritto del lavoro e salute dell’economia; e osservava come la tempesta mondiale di quel periodo, con un ‘cimitero economico di disoccupazione strutturale’ investisse il diritto del lavoro in maniera più violenta rispetto alle altre branche del diritto” . In effetti, è un ambito in cui le modifiche alle regole del gioco hanno notevolissimi effetti a cascata sulle vite di masse di lavoratori: una modifica ex lege al salario o all’orario di lavoro avrebbe (e ha avuto) effetti dirompenti.

Tema di questo focus è il fenomeno delle “black box”, in parte conseguente al popolare “sistema di feedback” che moltissime piattaforme digitali usano per raccogliere dati sulla soddisfazione dell’utenza nei confronti dei beni o servizi resi: visto che un algoritmo, a certe elementari condizioni, è un’opera intellettuale, la pretesa di conoscerne il funzionamento preciso può essere frustrata dal rifiuto della società titolare dell’algoritmo di renderne pubbliche alcune parti. In queste condizioni, diversi principi giuslavoristici appaiono inapplicabili e vetusti.

IL SISTEMA DEI FEEDBACK 

Il primo elemento da tenere presente per contestualizzare il fenomeno è la proliferazione dello strumento del feedback, cioè un commento o una valutazione che il singolo consumatore di un prodotto o servizio può rendere dopo aver acquistato il bene o servizio stesso. Come si può immaginare, non è un sistema idilliaco. Lo strumento, però, è diffusissimo: una ricerca del 2016, condotta da Local Review Survey, afferma che l’84% dei consumatori fruisce del sistema delle recensioni on line. 

Il problema che si pone è se i feedback degli utenti siano in grado di fondare delle valutazioni disciplinari sull’operato di un lavoratore recensito. Ogni utente che utilizza una piattaforma di food delivery, infatti, ha la possibilità di lasciare un commento, a volte con foto allegata, per comunicare il gradimento del cibo e del servizio di consegna: questi dati, elaborati dal software della piattaforma, possono essere facilmente usati per creare una classifica dei fattorini più votati, che per definizione diventano più bravi e popolari.

IL MANAGEMENT DEGLI ALGORITMI

Con il termine “Algorithmic management” alcuni autori hanno voluto indicare la tendenza a delegare decisioni sull’organizzazione della forza lavoro ad agenti non umani. La gestione algoritmica consente il ridimensionamento delle operazioni: ad esempio, coordinare le attività di grandi forze lavoro disaggregate o utilizzare i dati per ottimizzare per ottenere i risultati desiderati, come la riduzione dei costi del lavoro.

Il primo settore nel quale questa forma di organizzazione ha avuto più successo e diffusa applicazione è quello del lavoro tramite piattaforma. Le decisioni astrattamente delegabili variano dalla selezione del personale all’assegnazione di incarichi e turni, passando per la formazione: siamo di fronte ad una tecnologia che può assumere, organizzare, formare, valutare e punire il singolo lavoratore in modo automatico e, potenzialmente, senza interventi “esterni” di un essere umano.

Se sembrano indiscutibili i vantaggi potenziali di questo nuova modalità automatizzata di gestione del personale , la mancanza di resistenze al cambiamento da parte dei lavoratori poggia sulla convinzione diffusa che il decisore algoritmico sia più imparziale e meno emotivo di quello umano. Il fatto di rapportarsi con una macchina comprime ogni margine di trattativa e crea l’illusione di trovarsi di fronte ad un arbitro terzo ed imparziale, anziché ad uno strumento tecnologico usato dalla propria controparte datoriale.

LA “BLACK BOX” E LA LOTTA PER LA TRASPARENZA

Il tema del controllo umano della decisione presa da un processo automatizzato è fondamentale. L’utilizzo degli algoritmi per la gestione dei rapporti lavorativi, oltreché commerciali, non favorisce la trasparenza dei dati scelti per fondare la decisone. Allo stesso modo non è ancora possibile isolare i singoli passaggi logici per individuare eventuali errori di giudizio. Nella riflessione accademica nordamericana si è iniziato ad utilizzar il termine “black box” per indicare l’opacità di queste tecniche di decisione e l’oscurità che circonda il loro preciso funzionamento. 

Il destinatario di una decisione presa da degli algoritmi non sa su cosa si fondi quella determinata decisione, e spesso non conosce nemmeno quali dati usati vengano usati come input. Come intervenire a livello di policy e regolamentazione per ottenere maggiore trasparenza? 

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ABOUT THE AUTHOR

Federico Brion è Junior Fellow di Competere.

Laureato con tesi sul lavoro nella Gig economy. Esperto di tecnologia e delle tematiche legate all’innovazione digitale e tecnologica, dalla proprietà intellettuale alla contrattualistica delle piattaforme digitali. Si occupa anche di diritto civile e immobiliare, recupero crediti e risarcimento danni presso lo studio legale Foschini-Pagani.

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