Contro il Protezionismo, la Nuova Battaglia del Grano

Il decreto (Martina Calenda) che obbliga l’introduzione per la pasta dell’indicazione obbligatoria di origine del grano è:

  • Una misura protezionista che minaccia la competitività dei molitori e dell’industria della pasta;
  • Non aiuta i consumatori ma al contrario rischia di ingannarli;
  • Viola i principi della libera concorrenza europea.

Alcuni tra i principali rappresentanti di interesse ed esperti del settore agroalimentare si sono confrontati questo pomeriggio – nel contesto del ciclo di incontri Tomorrow Land – sulla piega protezionistica adottata dal Governo che mina la libera concorrenza e danneggia le eccellenze italiane.

Sono stati proposti degli interessanti spunti di riflessione da cui partire, non solo per inquadrare con maggiore lucidità il problema, ma soprattutto per rispondere a quelle che reputiamo delle serie minacce alla libertà di concorrenza e di scelta dei consumatori.

  • L’indicazione obbligatoria di origine del grano confonde il consumatore – La qualità del grano non dipende dall’origine. Il Decreto suppone che il grano italiano è di qualità migliore. Alla prova dei fatti, non è così;
  • Il grano italiano non è sufficiente – In termini di qualità e quantità, per soddisfare il fabbisogno della popolazione. L’Italia produce mediamente il 60% del grano di cui pastai e molitori hanno bisogno per rendere sostenibile la produzione. Per fare della pasta di ottima qualità ed incontrare la domanda del mercato è necessario importarlo;
  • L’indicazione dell’origine del grano rischia di essere un ricatto – Sarebbe più utile stimolare i consumatori a comprendere la complessità della filiera produttiva della pasta, piuttosto che strumentalizzare il concetto di trasparenza. La qualità del grano infatti prescinde l’origine;
  • L’indicazione obbligatoria, inoltre, va contro le regole europee – Sulla tutela del libero scambio.
  • Scarsa efficienza organizzativa – Il processo organizzativo e produttivo dei molitori e dei pastai è complicato dalla necessità di reperire grano italiano di qualità rivolgendosi a migliaia di piccoli agricoltori. Il costo economico per molitori e pastai sarà grave.
  • I pastai sanno fare il loro lavoro – La qualità della pasta è il risultato dell’ingegno dei pastai che scelgono il grano che ritengono migliore nelle particolari condizioni in cui operano. Il decreto mina questa eccellenza.

Le politiche protezionistiche hanno sempre delle conseguenze negative e non sarà certamente questo decreto ad aumentare e migliorare la produzione di grano. Semplicemente il decreto illude gli agricoltori che ci sarà un futuro prospero, ma manca di riformare il settore per renderlo qualitativamente competitivo con il resto dei produttori mondiali.

Per sostenere e tutelare le eccellenze italiane reputiamo necessario.

  • Implementare una riforma agraria strutturata e innovativa. La produzione italiana è eccessivamente frammentata rispetto a quella dei paesi più competitivi;
  • Adottare politiche di approvvigionamento flessibili. Si importa grano dall’estero per soddisfare un fabbisogno annuo di 6 milioni di tonnellate e per rispondere alle esigenze qualitative che il grano italiano non raggiunge. L’etichettatura obbligatoria è un’azione rigida ed incompatibile con gli standard di qualità;
  • Creare una rete di collaborazione. Il numero di proprietari e di terreni di piccole dimensioni è eccessivo. Servono competenze manageriali e la volontà di condividere conoscenze, tecnologie e modelli di coltivazione.

La politica portata avanti dal Governo sul grano e sul settore della pasta ci preoccupa non solo per la sua natura anticoncorrenziale, ma soprattutto per l’evidente mancanza di qualsiasi volontà a tutelare uno dei prodotti simbolo dell’eccellenze italiane.

 

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