Education in azienda: se ne parla tanto, se ne fa pocaL'IDEA DI DAVIDE CONFORTI*

La scarsa produttività è uno dei mali strutturali della nostra economia. È difficile porvi rimedio senza un intervento massiccio sulle competenze lavorative. A dispetto di quel che si dice, upskilling e reskilling restano attività vaghe per le imprese e di scarso interesse per i lavoratori. Peccato. Un programma di aggiornamento professionale, effettuato in un’impresa di medio-grande dimensione conterrebbe di almeno il 10% i costi dovuti alla perdita di figure qualificate, con un Roi pari ad almeno 3 volte l’investimento iniziale.

FORMAZIONE CONTINUA PER INNOVAZIONE CONTINUA             

Quella del computer che sostituirà il lavoratore è ormai una leggenda in cui credono in pochi. Soprattutto chi frequenta le aziende manifatturiere sa che l’automazione non potrà essere assoluta. Per gli esoscheletri come per le linee di produzione del tutto digitalizzate, il controllo da parte di una figura altamente qualificata sarà sempre obbligatorio. Come anche negli uffici, la figura anacronistica (e patriarcale) della segretaria di direzione non verrà sostituita in tutto e per tutto da Chat Gpt. O da qualche altro sistema di Ai. Saranno le giovani leve del mercato del lavoro, con le proprie competenze, nuove e fresche, ad avere la meglio.

Questo però illustra uno scenario previsionale statico: nuove macchine e nuovi lavoratori in sostituzione di modelli scaduti. Tenendo però conto che l’innovazione è un fattore dinamico, come si stanno organizzando le forze produttive per starvi al passo?

POCHE RISORSE, PER COMPETENZE BASIC  

La risposta è semplice: non si stanno organizzando. Se non a parole. Di fronte al 62% dei Ceo (Fonte, Forbes) convinto che l’upskilling sia la chiave per essere competitivi, il mondo reale obietta che, alla voce formazione, è destinato lo 0,6% dei ricavi aziendali, a fronte un 3% destinato al marketing. Per le imprese italiane, l’aggiornamento professionale vale un terzo rispetto alle controparti tedesche e francesi. 

E ancora: il nostro “Osservatorio sulla formazione continua” monitora con puntualità circa mezzo milione di utenti, che accedono alla nostra piattaforma per usufruire dei corsi di upskilling/reskilling professionale disponibili gratuitamente sul Web. Ne è emerso che un self learner – ovvero il lavoratore che apprende spontaneamente, senza alcun input dell’azienda, bensì mosso da una sua ambizione – effettua mediamente una, al massimo due ricerche mensili di corsi finalizzati al proprio aggiornamento e al miglioramento professionale. Si preferiscono contenuti veloci (massimo 10 minuti), pratici e subito utilizzabili. Excel, inglese e Teams restano i più ricercati. Insomma, rispetto a Chat Gpt, siamo all’Abc della tecnologia.

Altrettanto inesistente sul tema è l’intervento delle istituzioni. Al di là del salario minimo, o altre misure, volte perlopiù a creare consenso, la riforma del mercato del lavoro non fa menzione di alcuna iniziativa che potrebbe (dovrebbe) facilitare l’aggiornamento professionale di una popolazione di lavoratori sempre più anziani.

QUINDI?     

Quindi mi piace concludere con una simulazione. Augurandomi che possa far riflettere i learning manager delle imprese, sulle scelte dei percorsi di formazione che propongono al loro staff. 
Supponiamo di avere un’impresa di 500 persone, con una perdita di figure qualificate (churn) dell’8% annua. Il costo in termini di spese per le agenzie di head hunting e mancata produttività, e tenendo conto del tempo medio per l’assunzione di una nuova persona, pari a 2,5 mesi, è di 2 milioni di euro in un anno. Grazie a iniziative di sviluppo professionale, è possibile mitigare il churn di almeno il 10%. Questo equivarrebbe a un risparmio di 200 mila euro. Confrontando il costo medio di un piano di upskilling su una popolazione di circa mille persone con i benefici derivanti dalla riduzione del churn, i risultati sono sorprendenti. Il Roi dell’upskilling si attesta tra 3 e 6 volte l’investimento iniziale, dimostrando che la formazione continua è non solo una spesa necessaria, ma un investimento strategico che si ripaga ampiamente già nel primo anno.

L’efficacia della formazione richiede, però, un approccio strategico da valutare puntualmente in relazione alle prospettive dell’impresa. È necessario aver chiare quali siano le competenze critiche e gli skill gap su cui intervenire. Da qui, avviare percorsi di upskilling personalizzati, in grado di coinvolgere le singole persone.

*Davide Conforti è Cofounder & CEO di OfCourseMe.

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