Giovani Laureati, l’Italia Dietro la LavagnaL'idea di Competere

La recente pubblicazione delle statistiche Eurostat sulle percentuali di laureati dei Paesi europei offre l’occasione di mettere a sistema un po’ di dati sulla situazione dei giovani italiani. Numeri che incupiscono un quadro già di per sé buio, in cui su condizioni e prospettive dei 20-30enni pesa un’anomalia di sistema dalle vaste responsabilità.

26,2%. È la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni in possesso di una laurea. Peggio di noi solo la Romania. In questa fascia d’età si trovano i giovani che hanno iniziato, verosimilmente, gli studi universitari tra 5 e 10 anni fa, cioè prima che scoppiasse la crisi economica. Che tale percentuale, riferita al 2016, sia comunque la più alta degli ultimi anni per il nostro Paese potrebbe essere dovuto al fatto che si tratta di un dato pre-crisi. Se per il futuro non è possibile fare previsioni attendibili, è comunque più che lecito dubitare che il numero dei giovani laureati possa crescere significativamente nel corso dei prossimi dieci anni.

19,9%. Altra statistica inquietante, riguarda i NEET, persone che non lavorano, né studiano, né si formano in alcun modo. Nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, l’Italia è in assoluto la peggiore a livello europeo.

52,9%. Limitandosi a guardare i dati, qualcuno potrebbe pensare che se la disoccupazione giovanile è così elevata, è perché troppi ragazzi sono poco o per nulla qualificati. In parte sì, in parte no. L’indicatore di assorbimento a breve termine dei giovani (20 – 34 anni) in possesso di un diploma o di una laurea da non più di tre anni, da parte del mondo del lavoro, indica che nemmeno il 53% dei giovani in questione risulta occupato. Meglio di noi? Tutto il continente, tranne la Grecia.

Delle tre statistiche questa è senza dubbio la più preoccupante, poiché dimostra che nei primi tre anni dal conseguimento del titolo di studio, l’Italia non riesce a valorizzare lavorativamente il proprio capitale umano. Sia chiaro: il tasso di occupazione può non essere indicativo come quello di disoccupazione, ma il confronto con gli altri Paesi lo è.

Il nostro Paese è un cane che si dilania la coda. Da una parte si studia poco (meno che negli altri Paesi europei), ma dall’altra le statistiche confermano l’incapacità strutturale di integrare le forze più fresche e qualificate, da parte del sistema industriale e produttivo. Quindi da dove partiamo?

Bamboccioni o choosy, c’è da dire però una cosa: i giovani non sono la classe dirigente, quindi non hanno né gli strumenti né i luoghi per ragionare in un’ottica di sistema, né sono tenuti a farlo. La classe dirigente invece gli strumenti e i luoghi per ragionare, ce li avrebbe eccome. Quindi proviamo ad aggredire il problema dal lato dell’offerta di lavoro, cercando di capire come sia possibile snobbare un buon capitale umano di venti-trentenni. Pochi laureati e molti NEET saranno di sicuro un problema, ma non può essere un alibi per chi assume.

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