Il Disaccordo e il Conflitto: Come Ricomporlo Rispettando le RegoleL'Articolo di Raffaello Morelli

di Raffaello Morelli

In un mio precedente articolo ho citato il concetto di diversità individuale e di conflitto democratico . Ho scritto che gli effetti del ricorso alla libertà dipendono dalle regole scelte per relazionarsi tra cittadini diversi in base ai risultati del conflitto democratico. Dal punto di vista liberale, questo concetto  è la base del vivere insieme. Per  i (purtroppo) tanti che non hanno questo punto di vista, sono utili osservazioni aggiuntive.

Parto dal constatare che ogni cittadino è diverso dall’altro. Ciascuno ha in comune con gli altri moltissimi parametri fisiologici e di funzionamento organico; però  differisce dagli altri su un numero anch’esso molto alto di peculiari caratteristiche personali, che aumentano a dismisura con il passare del tempo, con l’accumularsi delle esperienze vissute materialmente, con il maturare delle specifiche inclinazioni mentali.  Il concetto delle diversità, fondato sul percepire i fatti reali, è emerso con estrema lentezza. Per  millenni non è stato la sorgente da cui organizzare le strutture per la convivenza degli esseri umani e solo nei secoli recenti – in specie dal ‘600 con l’empirismo inglese –  ha iniziato a svilupparsi  tra mille difficoltà districandosi tra i fitti lacci costituiti dalla mentalità e dalle strutture, frutti persistenti delle precedenti concezioni.

Prima che si formasse il concetto delle diversità, il presupposto per metter su le strutture in cui vivere erano i criteri unificanti della realtà, quasi si volesse riprodurre l’idea delle parti comuni tra gli esseri coinvolti in quelle strutture. Quindi si consideravano gli umani non diversi  tra loro quali individui ma sostanzialmente uguali. E in ogni caso da rendere uguali mediante una credenza comune.

Nei secoli tale credenza comune ha avuto tante tipologie, per cominciare a carattere soprannaturale e religioso, poi inclinata anche al riconoscersi in un capo terreno chiamato in mille modi, dopo dedicata all’inculcare i precetti di una  ideologia stella polare del convivere tra umani. Insomma, la vita di ciascuno doveva essere dedicata all’affidarsi ad un’autorità, che fosse un capo, un’oligarchia, una forma di potere dominante in base a motivazioni di natura fideista. Lasciando pochissimo spazio, molto spesso nessun spazio, al principio di singolarità del cittadino. Perciò, il clima del convivere era formato da un miscuglio religioso ideologico, che intendeva costituire una società  organica, di per sé statica nonché considerata definitiva. Coloro che non si riconoscevano in tale clima in quanto sostenitori di altra credenza con altri capi e diversi poteri, erano nemici da combattere in ogni modo, guerra compresa. La forza fisica era in ogni caso l’argomento dirimente. L’idea di pace era diffusa come sogno riservato a chi accettava la verità che gli veniva imposta. Di conseguenza, anche all’interno della medesima area di potere, le relazioni erano improntate al conformismo su quanto indicato dal potere. Nella vita pubblica era permesso solo l’essere d’accordo. Chi non lo fosse, era un eretico e un ribelle, da allontanare in qualche modo dalla convivenza della comunità.

Il passaggio al concetto delle diversità ha mutato paradigma, con effetti destinati a crescere al passar del tempo e ad evolversi, ma tuttora in evoluzione. L’innesco è stato introdurre l’utilizzo della libertà umana nella convivenza dei singoli e dei loro insiemi. Ciò ha iniziato a mettere in più stretta relazione ai meccanismi del vivere, al conoscere attraverso l’astrarre mediante l’osservare il mondo con il metodo sperimentale e al verificare le conseguenze delle iniziative prese. Non per caso, lo svilupparsi della diversità e della libertà mostra un sostanziale parallelismo con il crescere della scienza. E come nel caso della scienza, il motore dei  cambiamenti è adoperare la metodologia individuale accompagnata dalle continue valutazioni da parte degli altri individui conviventi.

Con il nuovo concetto della diversità e della libertà, il metro delle decisioni pubbliche è divenuto sempre più non l’assuefarsi ai voleri di chi detiene il potere pena il perdere la testa, bensì farlo contando le teste dei cittadini. A lungo si è pensato il contare come l’unico compito della democrazia e  la democrazia  come il progresso risolutivo. Poi si è toccato con mano che la democrazia da sola è un progresso limitato ad un meccanismo quantitativo, il quale di per sé non garantisce l’evolversi al passar del tempo, e pertanto rimane nella vecchia dimensione logica del potere che non assicura la libertà. Contare le teste e non tagliarle è essenziale ma contare le teste non è sufficiente, se non viene posto il vincolo che, anche dopo contate le teste una volta,  sarà obbligatorio continuare a farlo anche le volte successive. Questo è il vincolo che consente l’esprimersi della diversità e della libertà dei cittadini. In pratica ogni decisione  e ogni scelta, per quanto importanti, devono esser prese pensandole per lo più potenzialmente provvisorie.

Ad oggi l’esperienza pluridecennale ha accertato che le istituzioni ispirate alla libertà dei cittadini tra loro diversi funzionano con modalità tipiche. La partecipazione non può essere  un galateo rituale. Deve essere uno scambio di opinioni tra i cittadini allo scopo di discutere con l’obiettivo finale  di scegliere secondo le regole Se non è questo, allora  resta una partecipazione nominalistica propria di realtà contraddistinte dal rifarsi ad una autorità indiscutibile, anche quando legittima civilmente – come quelle comunitarie d’ogni tipo.  Quindi non è neppure democrazia vera.

Lo scambio di opinioni tra diversi è connesso al conflitto democratico tra i rispettivi progetti e alla provvisorietà delle scelte che ne seguono. In pratica, è un sistema di prova e di  verifica delle idee e dei progetti, che costituisce il binario guida per governare il conflitto.  Non è un sistema perfetto. E’ quello che funziona meglio di ogni altro e fornisce i risultati ottimali  finché l’attenzione ai fatti e ai diritti dei cittadini non porta a nuove scelte (analogamente alla scienza, che è scienza solo quando è falsificabile).

La spinta della libertà, fondandosi sulla metodologia individuale, non solitaria ma scrutinata di continuo dagli altri individui, sulla normalità del disaccordo che ne consegue, sulle scelte in pratica provvisorie, porta a far sì che l’idea di crisi non sia più un diabolico sintomo di perdita e di sconfitta bensì la condizione in larga parte normale del convivere restando aperti al cambiamento, di ciascuno e delle strutture in cui viviamo. Porta a far sì  che  la stabilità non abbia più il senso abituale del descrivere una struttura immobile ma si riferisca a qualcosa pronto al trasformarsi conservando una ampia probabilità di mantenere i suoi caratteri principali. Porta a far sì che la sicurezza non abbia più un senso unitario ma si articoli in vari gradi di ambiti di riferimento, divenendo un sintomo di rilievo politico solo quando attiene al malfunzionamento  diffuso delle strutture pubbliche  nel garantire i diritti dei cittadini. Porta a far sì che il conoscere non possa mai trasformarsi in un processo separato dall’essere umano nel suo rapporto con il mondo, equivocando sulla natura dell’intelligenza artificiale, mediante il teorizzare che un potente supporto dell’organismo possa divenire un’entità autonoma dall’organismo.

Nel complesso, nel nuovo quadro della diversità e della libertà che si diffondono, il disaccordo tra i cittadini è fisiologico e di volta in volta trova composizione nel condividere l’analisi della situazione, il metro dei risultati e un progetto minimo per agire nel rispetto della cornice istituzionale. Proprio per tale caratteristica, peraltro, il buongoverno istituzionale diviene nella vita pubblica un discrimine più netto di quanto  lo fosse prima. Perché se per un tempo prolungato il buongoverno non arriva e insieme non si profila un’alternativa praticabile, il disaccordo  facilita la frammentazione civile irragionevole. E questa frammentazione facilita il non seguire più i ritmi della libertà, dato che ogni individuo o gruppo arriva a non accettare più la diversità dell’altro e degli altri.

Sono situazioni molto pericolose per la libera convivenza. Bisogna ricordare che dal cambio di paradigma del passaggio alla libertà, si può sempre tornare indietro. E in più ricordare che nella storia  questo passaggio non è stato mai attuato senza l’uso della forza. Dunque, se non si vuole revocare l’adozione del sistema della libertà tornando all’epoca della forza fisica come argomento dirimente, i disaccordi vanno composti secondo le regole di libertà imperniate sul metodo individuale scelto in base all’esperienza, e non secondo i sogni e le pretese impazienti di ciascuno, singoli o gruppi, giuste o sbagliate che si ritengano. Altrimenti, il disaccordo dimentica le proprie radici operative nelle regole e regredisce allo scegliere il criterio di affidarsi, invece che alla libertà, alla forza, fisica e della piazza, per imporre le proprie ragioni.

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