Inflazione ufficiale e inflazione percepita: serve un distinguoL'idea di Giuseppe Arleo

L’inflazione genera una crescente disparità tra famiglie con redditi diversi, tra Nord e Sud, imprese di diversi settori. Vi è, inoltre, uno scollamento crescente tra inflazione ufficiale e inflazione percepita. Tutto ciò rappresenta un rischio significativo sul potenziale di crescita del Paese mentre non ci sono segnali di rientro dagli elevati livelli dei prezzi attuali.

L’andamento dell’inflazione negli ultimi mesi sta destando un’enorme preoccupazione per gli operatori economici e rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita del Paese, in un momento in cui si va ridimensionando la paura della pandemia. Gli effetti di un’inflazione elevata non sono uguali per tutti: dal punto di vista dei settori pesa maggiormente sui comparti più energivori (carta, metalli, chimica), ma anche a livello di singola impresa ha effetti diversi a seconda del peso della bolletta energetica sull’attività della stessa. Tra le famiglie, infine, ha un effetto diverso a seconda che si tratti di famiglie benestanti o no.

INFLAZIONE AL 4,8%

Il tasso di inflazione in gennaio ha raggiunto il 4,8% annuo, livello massimo da 26 anni. Secondo l’Istat l’accelerazione è stata spiegata in gran parte dall’aumento del prezzo dei beni, specie di quelli energetici (+38,6%). L’aumento dei prezzi dei servizi è invece risultato più contenuto. Il costo dei beni energetici è spinto al rialzo soprattutto da elettricità e gas (strettamente correlati), mentre meno forte è l’impatto dovuto all’aumento del prezzo del petrolio.

Il diverso andamento dei prezzi dei beni e dei servizi  è rilevante perché incide in maniera differente sulle possibilità di spesa delle diverse tipologie di famiglie. Poiché i beni pesano in misura maggiore sugli acquisti delle famiglie meno abbienti e, al contrario, i servizi pesano relativamente di più sui bilanci di quelle più benestanti, il rialzo dell’inflazione ha ricadute più negative per le famiglie con una spesa mensile più bassa. Questo aspetto, di cui non sempre si parla, genera una forte disparità

UNA DISPARITÀ CHE GIÀ LA PANDEMIA HA AMPLIATO

Durante i due anni passati la pandemia ha accresciuto le differenze tra le diverse tipologie di famiglie: chi ha potuto ha risparmiato, ampliando la propria ricchezza, i nuclei fragili lo sono diventati sempre più, per quanto il reddito di cittadinanza e di emergenza abbiano attenuato tale divergenza. La questione è ancora più rilevante – e le divergenze più ampie – se si osserva da un punto di vista territoriale: secondo le rilevazioni ISTAT le famiglie residenti nel Nord Ovest dispongono del livello di reddito per abitante più elevato (oltre 22mila e 300 euro), contro i 14mila euro del Sud, che rappresentano il 60% dei redditi del Nord. L’elevata inflazione, quindi tende ad allargare ulteriormente questo gap.

Ma   anche un altro aspetto deve essere considerato: il paniere ISTAT, che è stato recentemente integrato da beni e servizi legati alla pandemia (tamponi, test antigenici, saturimetri etc…) si riferisce alla spesa di una famiglia media, rappresentativa del Paese. In realtà, spesso si osserva che l’inflazione reale – quella misurata dall’ISTAT – si discosta anche in maniera significativa dalla cosiddetta “inflazione percepita”, quella che “misuriamo” al bar sotto casa o al supermercato e comunque nell’esperienza quotidiana di acquisto. Questo è tanto più vero quanto più si evidenzia che nell’aggregazione delle singole quotazioni fatte dall’ISTAT sono escluse di volta in volta le voci che registrano rincari eccezionalmente elevati, in quanto si ritiene che i consumatori tendano a sostituirle con altri prodotti. Le statistiche su inflazione reale (cioè misurata dagli istituti di statistica) e inflazione percepita sono prodotte dalla Commissione Europea con regolarità: nel quarto trimestre a fronte di un’inflazione reale intorno al 5% annuo, quella percepita era in media dell’8% con uno scostamento rilevante tra famiglie più benestanti (per le quali era al 5%) e meno benestanti (per le quali era al 14,8%. L’inflazione attesa per i prossimi mesi è poco inferiore di quella percepita. Anche in Italia le differenze ricalcano queste percezioni.

QUESTI DATI COSA CI DICONO? 

I dati evidenziano che esiste uno scollamento crescente tra quello che viene comunicato e quello che il paese reale vive. Questo fenomeno deve accendere un alert perché se quanto rilevato è vero, allora l’impatto dell’aumento dei prezzi sarà ancora più negativo sui bilanci familiari, specie nelle famiglie del Sud Italia, di quanto non risulti dalle statistiche ufficiali. Questo significa, inoltre, che, al di là delle statistiche, le famiglie hanno già ripreso a risparmiare per pagare gli aumenti futuri (attesi) di beni e servizi. E anche le imprese lo stanno già facendo, tant’è che molte hanno sospeso l’attività o rinviato le aperture dopo il rientro dalle ferie natalizie e altre ancora hanno spostato la produzione nei fine settimana quando il costo dell’energia è più basso. Con l’arrivo delle bollette energetiche del primo bimestre, ne sono certo, vi sarà una dolorosa presa di coscienza della gravità della situazione attuale e lo scostamento tra inflazione reale e percepita sarà ancora più ampio. Tenuto conto che non ci sono segnali di discesa dei prezzi, anzi sul gas (che pesa per il 40% della domanda nazionale) si teme un ulteriore impennata in conseguenza delle tensioni Russia – Ucraina, poiché le forniture di gas naturale del nostro Paese dipendono in gran parte dalla Russia.

Siamo dunque di fronte a un fenomeno che ha la potenzialità di erodere una gran parte del risparmio accumulato dalle famiglie nello scorso biennio e, di conseguenza, frenare in maniera significativa la ripresa prevista da molti istituti di previsione economica, a iniziare dal Governo. Uno scarto tra inflazione percepita e inflazione ufficiale di 3 punti percentuali, potrebbe riflettersi in una mancata crescita del Pil dello 0,7%. Solo questo, dunque, porterebbe ben sotto alla soglia del 4% la crescita del PIL italiano attesa dalla maggior parte dei previsori, in uno scenario di graduale uscita dalla crisi pandemica. Gli interventi del Governo (circa 5 miliardi di euro lo scorso anno e altrettanti questo, fino ad oggi), sia chiaro, sono stati utili a ridurre il peso del caro energia su famiglie e imprese. Ma non sono sufficienti; verosimilmente si andrà verso un livello strutturalmente alto dei costi energetici, anche in conseguenza della transizione green e del processo di decarbonizzazione sul quale l’Europa si è impegnata, e ciò richiede investimenti di lungo periodo che riducano la dipendenza dell’Italia dall’utilizzo di carburanti fossili.

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