La burocrazia blocca le opere pubblicheDI STEFANO CIANCIOTTA

L’inaugurazione del Ponte di Genova, e pochi mesi dopo l’avvio del Mose a Venezia, costituivano e costituiscono ancora oggi l’occasione per ragionare sulle azioni da intraprendere per superare gli ostacoli posti in essere dalle procedure di autorizzazione.    

Entrambe le opere, infatti, sono state realizzate con il commissario straordinario, al quale si fa sempre più ricorso per le opere delle grandi stazioni appaltanti, ma che in realtà delinea una differenza marcata con le amministrazioni di dimensioni ridotte, alle prese con il depauperamento delle proprie aree tecniche e con il rispetto di norme burocratiche sempre più stringenti.    

LA VALUTAZIONE PREVENTIVA 

La capacità tecnologica e di management delle imprese italiane e l’interesse degli investitori, devono confrontarsi con nuove prescrizioni, come dimostra il caso ultimo della Valutazione Preventiva di Interesse Archeologico da presentare prima ancora di avviare l’iter autorizzativo della Valutazione di Impatto Ambientale. L’introduzione della Valutazione Preventiva, avvenuta con un emendamento al Decreto Aiuti convertito in legge il 15 luglio con la modifica del Testo Unico Ambientale, conferisce di fatto un potere enorme alle già robuste tenaglie delle Sovrintendenze, e rischia di bloccare il via libera a 800 progetti di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione. Lo stop coinvolgerebbe almeno 40 Gigawatt di impianti solari, la cui potenza complessiva esprime la metà del target di rinnovabili che entro il 2030 deve essere installato nel nostro Paese.    

IN 30 ANNI, REALIZZATO SOLO IL 13% DI NUOVE OPERE

Negli ultimi trenta anni l’Italia ha realizzato solo il 13% di nuove opere, in prevalenza concentrate nel settore ferroviario, che, non è un caso, proprio attraverso il ricorso alla figura del commissario oggi ha un ruolo decisivo anche all’interno del Pnrr.  

In compenso dalla Legge Merloni del 1994 l’ambito degli appalti pubblici è stato il più normato, con un’ipertrofia legislativa che invece di snellire i procedimenti è andata nella direzione opposta, con la conseguenza che procedure più complesse hanno contribuito a stratificare i meccanismi corruttivi. 

Come se non bastasse, poi, la riforma del Titolo V del 2001, votata a maggioranza dal centrosinistra, ha moltiplicato i contenziosi e i conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni proprio in materia di lavori pubblici. Nel 2013 Romano Prodi scrisse che, poichè il Tar era diventato un comodo e poco costoso strumento di blocco contro ogni decisione, sarebbe stato opportuno ripensare la disciplina dei ricorsi alla giustizia amministrativa. 

Tribunali amministrativi, infatti, sono diventati il luogo nel quale si risolvono i contenziosi sulle opere pubbliche spesso generati anche dalla scarsa propensione delle amministrazioni a mettere in gara un progetto chiaro, o lo spazio di compensazione dei no alle infrastrutture al quale gli amministratori locali, più o meno inconsapevolmente, delegano le scelte, anche quelle considerate utili o indispensabili per il territorio o per il Paese. Esempi recenti non mancano, dagli impianti eolici off-shore in Puglia al metanodotto Sulmona-Foligno, fino al rigassificatore di Piombino. Quando viene accertato il valore strategico nazionale delle opere, invece, sarebbe più maturo negoziare i benefici, anche indiretti, che quelle infrastrutture possono portare alla propria comunità.  

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>> Articolo pubblicato su Il Tempo << 

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