Legge Elettorale: Tutti i Rischi del Sistema Tedesco all’ItalianaLo Scenario Politico di Lorenzo Castellani

In questi giorni le principali forze politiche italiano sembrano cercare un accordo sulla legge elettorale. Il modello di riferimento è il sistema elettorale tedesco, cioè un proporzionale con sbarramento al 5%.

Come funziona? Metà dei membri del Bundestag è eletto direttamente dalle 299 circoscrizioni uninominali in cui è diviso il Paese. L’altra metà in base alla percentuale di voti ottenuta dal partito in ogni Land. Gli elettori dispongono di due voti: con uno l’elettore sceglie un singolo candidato all’interno del proprio collegio (con sistema maggioritario: chi prende un voto in più degli altri viene eletto), con l’altro sceglie una lista o un partito. Questo secondo voto stabilisce qual è la percentuale di seggi parlamentari che avrà ogni partito (con metodo proporzionale): chi prende ad esempio il 30% di secondi voti, avrà diritto al 30% dei seggi. I candidati della quota proporzionale sono scelti in listini bloccati: ce n’è uno per ogni Land.

In Germania il numero dei seggi è variabile, perché chi vince nel proprio collegio entra automaticamente in Parlamento anche se in numero maggiore rispetto alla quota proporzionale che spetterebbe a un partito. Così quando ciò accade tutti gli altri partiti ricevono dei deputati in più, in modo da mantenere la corretta ripartizione proporzionale stabilita dal secondo voto. In Italia questo non è possibile, poiché da Costituzione i deputati sono 630 senza possibilità di variazione nel numero.

Rimangono fuori i partiti che non superano la soglia di sbarramento del 5%, né riescono ad eleggere almeno tre deputati attraverso le circoscrizioni uninominali.

Ad oggi non esiste ancora un testo della nuova legge elettorale, ma è possibile fare alcune considerazioni distinguendole in storiche, tecniche e politiche.

Storiche. L’Italia si è sempre retta sugli accordi tra forze politiche per esprimere un governo, ad eccezione ovviamente del periodo fascista. Questi accordi tra una pluralità di forze politiche si sono snodati in vari modi nella storia del Paese. Dall’uninominale a doppio turno adottato dopo l’unità d’Italia, in cui l’accordo avveniva tra le forze che non avevano superato il primo turno per determinare il vincitore di collegio nel secondo; al plurinominale di lista (i collegi eleggevano da 2 a 5 deputati) del 1882, che accrebbe molto l’instabilità politica tanto che nel 1891 si ritornò all’uninominale (fino a questo punto non c’era suffragio universale); alla legge proporzionale del 1919 con metodo d’Hont (suffragio universale solo maschile); alla legge proporzionale classica del 1946 per cui, da dopo De Gasperi (elezioni 1948), si è sempre governato con coalizioni formate in Parlamento; ai più recenti sistemi misti a tendenza maggiorataria, Mattarellum e Porcellum, in cui le coalizioni di governo si formavano prima del momento elettorale (poi tendevano a sfasciarsi in Parlamento).

L’instabilità dell’esecutivo, è noto, costituisce la caratteristica principale del sistema politico italiano. A questo, tuttavia, va sommato un altro elemento: la tendenza al particolarismo, cioè al frazionamento politico, che è altro tratto storico della cultura politica italiana. In sostanza, senza coalizioni, che siano formate prima, durante o dopo le elezioni, in Italia non si è mai governato. La “proposta tedesca” s’inserisca in questo storico solco poiché prevede, salvo casi di eccezionali maggioranze improbabili nell’orizzonte attuale, la formazione di coalizioni nel Parlamento al fine di formare un governo. In Germania questo accade dal 1957. Letta con le lenti della storia la scelta delle principali forze politiche appare razionale e affatto rivoluzionaria. Maneggiare coalizioni è da sempre un “Italian job”. Il problema, semmai, resta la stabilità politica (specie se la soglia di sbarramento sarà abbassata seguendo i desiderata di Alfano) ma questa caratteristica dipende non solo dalla legge elettorale ma dalla forma di governo, per cui servirebbe una modifica costituzionale che non ci sarà né oggi né nel futuro più prossimo.

Tecniche. Il sistema tedesco andrà tradotto nella sua versione italiana e questo potrebbe causare parecchie divisioni e spingere alcune forze politiche a ritirare il loro appoggio. Per esempio: come già scritto, in Italia non è possibile avere un numero flessibile di parlamentari. Bisognerà quindi stabilire cosa succederà se una lista elegge più candidati con il sistema maggioritario di quanti gliene spettino con quello proporzionale.

Su questo punto il Movimento 5 Stelle è stato molto chiaro già col post che accompagnava l’annuncio del sondaggio sul blog di Grillo: «Per avere un sistema pienamente tedesco, occorre assegnare a ogni partito sopra lo sbarramento il numero di seggi esattamente corrispondenti alla percentuale di voti ricevuti. Ciò significa che laddove dovesse capitare che il numero di seggi vinti da un partito nei collegi uninominali eccedesse il numero dei seggi ottenuti nel riparto proporzionale, quest’ultimo deve prevalere, al fine di garantire la piena proporzionalità del sistema come accade in Germania». Il M5S chiede quindi che l’esito del “voto proporzionale” prevalga su quello del “voto maggioritario”, ma non indica come ciò potrebbe accadere. E propone anche di aggiungere un premio di maggioranza, che non esiste in Germania e non esiste in nessun altro paese al mondo, con l’esclusione della Grecia.

Anche il Partito Democratico ha espresso delle condizioni. Lo sbarramento deve restare al 5 per cento e le liste della quota proporzionale devono essere corte, con i nomi dei candidati sulla scheda. A questo si aggiungono ulteriori questioni come le modalità di disegno dei collegi uninominali che può far variare la rappresentanza elettorale (tecnicamente si chiama jerrymandering, ovvero quando il Governo disegna i collegi nel modo a lui più favorevole). La risoluzione di queste problematiche è fondamentale perché determinerà non solo lo “stampo” italiano del sistema tedesco, ma anche il suo effettivo funzionamento.

Politiche. I partiti sono sempre molto bravi a nascondere le magagne come, ad esempio, privare i cittadini della possibilità di scelta dei candidati. In tutti i paesi in cui esistono i collegi nominali, Germania inclusa, il candidato di collegio di ciascun partito è scelto con qualche metodo democratico (primarie, congressi) dagli elettori di quel partito in quel collegio. Se si voterà presto è improbabile che ciò possa accadere in Italia. In altri termini, saranno i leader di partito a scegliere chi verrà candidato in un determinato collegio mentre elettori e militanti saranno esclusi da questa scelta. Ancora di più vale, perché in questo caso non c’è competizione diretta tra candidati, per la quota proporzionale: chi sceglierà i nomi della “lista corta” che propone il PD? Il segretario, un commissione di partito o gli elettori? Molto difficile che siano questi ultimi. Il modello tedesco è probabilmente uno di quelli che meglio si adatta ad un’Italia “quadripolare”, ma i nostri partiti continueranno a non funzionare e lasciar ai propri leader la scelta dei candidati (non ai congressi locali, non agli elettori). In questo contesto sarà interessante capire cosa farà il Movimento 5 Stelle, che della scelta on-line dei candidati ha fatto un suo punto di forza. I grillini serreranno i ranghi con una spartizione classica dei candidati tra correnti? Oppure organizzeranno in fretta e furia delle “parlamentarie” per la scelta dei candidati? Questa decisione strategica potrebbe dirci molto sulla loro trasformazione partitica. Se opteranno per la seconda strada potrebbero essere l’unico partito italiano a dare, seppur con metodi discutibili, la scelta ai propri iscritti sulle candidature. Insomma, un sistema elettorale regge la sua impalcatura non solo sulla legge, ma anche sulla forma dei partiti. E in Italia i partiti non hanno più alcuna forma.

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