L’olio di oliva fa bene, ma non tutti possono permetterseloL'IDEA DI PIETRO PAGANINI

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L’olio di oliva fa bene ed è buono. Sembra di parafrasare George Bernard Shaw – “Le cose belle della vita o sono immorali, o fanno ingrassare”, diceva lui – noi invece vogliamo approfittare di uno studio rivoluzionario, realizzato dall’Istituto Nutrizionale Carapelli in collaborazione con le Università di Milano, Perugia e Napoli, per spiegare che intorno all’olio extravergine d’oliva, l’olio Evo, aleggia un paradosso fatto di opportunità medico-nutrizionali, scarsa produttività e costi elevati per il consumatore.

MA PERCHÈ L’OLIO EVO FA BENE?             

Che l’olio Evo fosse una testa di serie tra gli alimenti più gettonati della Dieta mediterranea si sapeva. Tuttavia, nella ricerca universitaria in questione, “Effetti benefici dell’olio extravergine di oliva: meccanismi molecolari”, si fa chiarezza, per la prima volta e in modo esaustivo, dei molteplici processi molecolari e cellulari coinvolti nei benefici dell’olio Evo legati ai polifenoli. Attraverso tecniche avanzate di analisi genetica e metabolica, i ricercatori hanno identificato i meccanismi in cui l’olio Evo e i polifenoli influenzino il metabolismo energetico e la funzionalità dei mitocondri, specialmente nei tessuti attivi come muscoli e fegato.

UNA MEDICINA NATURALE…  

Lo studio sottolinea inoltre l’importanza di promuovere diete con alto consumo di olio Evo, come appunto la dieta Mediterranea, per contrastare l’obesità e le malattie non trasmissibili, oggi considerate dalla scienza medica una pandemia silenziosa. L’obesità è infatti correlata a gravi complicanze come il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari.
Un male di cui nessuno parla, ma che sta crescendo, soprattutto in seno alle generazioni più giovani, nella società occidentale e che è riconducibile, tra i tanti fattori, anche a una scarsa consapevolezza di quello che si mangia.

È tempo quindi che la politica sappia trarre insegnamento dalla scienza. La conoscenza dello studio in questione dovrebbe indurre la Commissione europea a incentivare il consumo di olio Evo e, più in generale, a incentivare il ricorso alla Dieta mediterranea. Il messaggio è semplice nella sua chiarezza: l’olio Evo è salutare, al punto da poter essere considerato una medicina naturale per la prevenzione delle patologie correlate all’alimentazione. 

…NON ALLA PORTATA DI TUTTI     

Tuttavia, ed è qui che risiede il paradosso, l’olio Evo è un bene di consumo non alla portata di tutti. Questo perché le cose belle della vita sono spesso care. 
Il prezzo dell’olio Evo, negli ultimi anni, è cresciuto in modo costante. Soprattutto a causa delle difficoltà di produzione incontrate dalla filiera a seguito del climate change. Dopo un 2022 disastroso per i frantoi, a causa degli uliveti frustrati dalla siccità, il 2023 si stima sia stato migliore. 

L’Italia, secondo produttore al mondo dopo la Spagna e primo mercato per i consumi, prevede di chiudere il 2023 con 289mila tonnellate di olio, un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. È una buona notizia, ma solo a metà. Se si pensa alle 350mila tonnellate delle annate migliori. Siamo ancora sotto la media di tutta l’area mediterranea – trend confermato per il 2024 – e soprattutto non siamo in grado di soddisfare la domanda dell’industria olearia made in Italy, che richiede circa 1 milione di tonnellate. In parole povere importiamo molto più olio di quanto A) ne produciamo; B) ne esportiamo come ingrediente di prodotti BtoC.

Non che i nostri competitor siano sereni! Per il secondo anno consecutivo, la Spagna non supererà le 765mila tonnellate di olio prodotte. Sono quasi la metà delle rese abituali. In Grecia, la produzione è crollata a 260mila tonnellate: -25% sul 2021. La Tunisia si aspetta di ritornare a 200mila tonnellate, mentre Turchia e Marocco hanno temporaneamente sospeso le esportazioni verso l’Unione Europea a causa della scarsa disponibilità. In controtendenza, è solo il Portogallo, che prevede un incremento quasi del 20%, raggiungendo le 150mila tonnellate. 
Stando a questi numeri, e consapevoli che le condizioni climatiche restano ostili, è difficile essere ottimisti. A questo, si aggiungono le criticità di ammodernamento del ciclo produttivo. 

QUALI OSTACOLI?    

L’innesto di tecniche e strumenti tecnologici innovativi per aumentare la produttività è difficile in un contesto come quello italiano, in cui le piantagioni sono prevalentemente antiche e molte non si prestano alla produzione intensiva. Altri ostacoli emergono dall’eccessiva frammentazione delle forze produttive, che il pur virtuoso sistema delle cooperative non riesce a colmare. Al di là delle responsabilità ricercabili nella tradizione culturale del settore, varrebbe la pena analizzare se i tanti fondi indirizzati abbiano contribuito a migliorare la performance o siano un semplice reddito di sopravvivenza (e speculazione di alcuni).

Che il consumo italiano dipenda sempre di più dall’import da mercati più produttivi e meno costosi, magari extra europei, è noto. La minaccia è duplice, però.
Sul fronte produzione, le new entry del mercato possono superarci a destra. Dinnanzi ai nostri mali strutturali, Paesi più spregiudicati saprebbero come sorpassarci. Pensiamo all’Arabia Saudita, dove, grazie alla tecnologia, è possibile innestare piantagioni intensive in aree tradizionalmente ostili. Non è un’eventualità, lo stanno facendo.
Sul fronte consumi invece, i prezzi inaccessibili dell’olio Evo portano molte famiglie a ricorrere a nutrienti alternativi, che però non offrono le medesime caratteristiche preventive, oggi codificate dalla scienza.

COSA FARE     

Diventa urgente perciò un intervento strategico. A sostegno della filiera, che abbia delle rimesse virtuose sul consumatore finale. Occorre intervenire promuovendo gli investimenti in tecnologia, incentivare il consolidamento degli operatori, e favorire l’accesso dei consumatori al prodotto in un momento in cui i prezzi restano alti. È necessario, all’atto pratico, conoscere il fabbisogno calorico della persona e della società e studiare come soddisfarlo in modo resiliente e sostenibile, riducendo l’impatto sull’ambiente e su altre produzioni altrettanto necessarie. Bisogna valutare quanto è necessario esportare per consolidarci sul mercato internazionale con un prodotto qualitativamente eccelso con caratteristiche salutari uniche.

Guardiamo infine chi ha già preso misure pragmatiche. In Spagna hanno temporaneamente sospeso l’Iva. Certo, da noi, con un’Iva al 4%, su un prodotto da 10 euro, si risparmierebbero 40 centesimi. Poca cosa. Ma sarebbe già un segnale per galvanizzare l’orgoglio nazionale a cui questo Governo si appella continuamente. 

 

Articolo pubblicato su HuffPost Italia 

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