L’utopia ideologica della Direttiva Green: questione di prioritàDI MAURO CAPPELLO

Il 12 marzo scorso è stata definitivamente approvata la cosiddetta “Direttiva Green” tecnicamente definita con l’acronimo inglese EPBD che sta per “Energy Performance Buildings Directive” traducibile con “Direttiva sulla prestazione energetica degli edifici”.

Sebbene il nuovo testo sia più “blando” rispetto al precedente, richiede comunque una serie di adempimenti importanti per gli edifici privati residenziali. Basti pensare che l’articolo 3 prevede una “ristrutturazione profonda” (una ristrutturazione che riduca del 60% il consumo di energia primaria degli edifici in classe E,F e G e che trasformi gli edifici in classe A,B,C e D in edifici a zero emissioni) di almeno 35 milioni di unità immobiliari entro il 2030.

Lo scopo è quello di ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050, agendo sui requisiti dei nuovi edifici (resi più severi in termini di prestazioni energetiche) e prevedendo anche un Piano nazionale di ristrutturazione, finalizzato a trasformare gli edifici esistenti in edifici a emissioni zero.

Per quanto riguarda gli edifici privati residenziali esistenti, l’art.9 c.1 bis lettera c) del nuovo testo prevede che essi siano adeguati energeticamente entro il 2033, conseguendo almeno la classe energetica D a cominciare da quelli aventi prestazioni peggiori (classi E, F e G).

Per capire l’impatto che una tale Direttiva potrà avere sugli edifici italiani e soprattutto sui bilanci delle nostre famiglie è opportuno inquadrare la situazione degli edifici residenziali italiani.

Un recente studio dell’Associazione italiana dei costruttori edili (Ance), basato sui dati dell’ENEA, ha evidenziato che su circa 12 milioni di edifici residenziali oltre 9 milioni non garantiscono le performance energetiche richieste.

In particolare, i dati ufficiali diffusi dall’Enea, relativi al monitoraggio degli Attestati di Prestazione Energetica (APE) degli edifici, evidenziano che il 74% delle abitazioni italiane, cioè 11 milioni, apparterrebbero a classi energetiche inferiori alla D, in particolare il 34% ricade in classe G, il 23,8% in classe F e il 15,9% in classe E.

Ne consegue che, secondo le nuove regole europee, circa 2 milioni di edifici dovranno essere ristrutturati entro il 2033.

Le scelte di Bruxelles portano una serie di conseguenze sulle quali è opportuno riflettere.

Per passare almeno due classi energetiche (si noti che per passare dalla classe G alla classe D si dovrebbero realizzare addirittura un salto di ben tre classi) è necessario agire contemporaneamente su tre fronti: sulle superfici opache (i muri e coperture) tramite la posa in opera di un cappotto, sulle superfici trasparenti (gli infissi) installando infissi ad alte prestazioni termiche e, infine, sugli impianti tramite la sostituzione delle caldaie e dei corpi scaldanti.

I costi che i cittadini dovrebbero affrontare sarebbero ingentissimi: a oggi, per esempio, la fornitura e posa in opera di un cappotto in polistirene espanso dello spessore di 10 cm – secondo il prezziario della Regione Lazio 2023 – è pari a 144 euro al metro quadro, mentre un serramento in PVC ad alte prestazioni termiche costa oltre 500 euro al metro quadro; un impianto termico supera i 5.000 euro mentre un impianto fotovoltaico richiederebbe almeno altri 6.000 euro.

Considerando una piccola abitazione indipendente di circa 100 mq si spenderebbero circa 30 mila euro di soli lavori e 10-12 mila euro per gli impianti. A ciò si devono aggiungere le spese per i ponteggi e la sicurezza in generale, le spese di progettazione e direzione lavori e ,infine, l’IVA. Facendo il totale si raggiunge la somma di circa 60 mila euro. Decisamente una somma proibitiva per una famiglia italiana media.

Oltre agli aspetti economici c’è da considerare l’impatto sull’industria italiana e le imprese.

Per garantire il rispetto della Direttiva, l’Italia dovrebbe attivare almeno 200.000 interventi all’anno: con questi dati è già noto che l’industria italiana non sarebbe in grado di produrre i materiali necessari e il parco delle imprese edilizie non potrebbe soddisfare le eventuali richieste.

C’è, infine, una considerazione di carattere logico, relativa alla vulnerabilità sismica degli edifici.

In Europa ci sono 8 capitali tra le quali Vienna e ben 73 milioni di cittadini europei che vivono in aree ad alto rischio: una fetta importante del patrimonio edilizio europeo, dunque, è fortemente vulnerabile al Sisma. Siamo davvero sicuri che la priorità sia l’efficienza energetica?

Al prossimo terremoto perderemo ancora vite umane e tutte le costose migliorie energetiche realizzate con questa Direttiva, ma questa volta le macerie ed i morti saranno coperti anche dai pannelli fotovoltaici.

La priorità numero uno è l’adeguamento sismico degli edifici, Amatrice docet!

Join Our Community and Stay Up to DateSign up to receive weekly updates, thoughtful ideas, and exclusive invitations

SEARCH IN OUR NEWS

LATEST NEWS