Monitoraggio Ambientale: dall’Emergenza al ControlloL'Idea di Competere

Nel caso dei disastri ambientali continua a prevalere in seno all’opinione pubblica, un senso di impotenza che alimenta la solidarietà e il lavoro sull’emergenza.  L’imprevedibilità di un terremoto o di un’alluvione affida quasi sempre ai sistemi pubblici di welfare compiti meramente emergenziali e di primo sostegno. Questo non può bastare e rimane una chiave di lettura poco sostenibile in una prospettiva di lungo termine. Prevenire è meglio che curare, ricordate?

Coerentemente con l’idea che i disastri ambientali siano il frutto della fatalità, questo genere di interventi non risponde alla necessità di ridurre quegli elementi che fanno di un rischio una calamità.

Lo stesso vale per gli interventi, frammentari ed emergenziali, promossi dopo un disastro, finalizzati alla promozione dell’occupazione e alla ripresa economica delle aree colpite, che mostrano non solo uno scarso livello di sostenibilità sul piano della finanza pubblica ma anche una debolezza intrinseca: sono e rimangono soluzioni emergenziali, senza una visione preventiva e senza un legame con i territori e le comunità locali.

I casi di successo nel settore del monitoraggio ambientale preventivo esistono in Italia, ma sono ancora realtà troppo sporadiche: uno scenario non certo rassicurante per un Paese afflitto dal problema del dissesto idrogeologico.

Il percorso italiano verso le smart cities ha delle zone d’ombra non indifferenti e questo perché non basta innovare in tema di e-government, mobilità sostenibile o big data per migliorare la vita dei cittadini. Serve lavorare alla realizzazione di sistemi di controllo e di allarme, vanno messe in campo le tecnologie, oltre che la progettualità. Il 68% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico, i sistemi di monitoraggio ambientale sono quindi un elemento dominante nell’ambito della smart city.

Infatti, per aumentare il livello di sicurezza di territorio e popolazione non basta la manutenzione delle infrastrutture esistenti (su cui è meglio stendere un velo pietoso) ma servono sistemi automatizzati di allarmistica, che garantiscano l’immediatezza della comunicazione di un rischio (come un sms inviato a tutti i cittadini della zona) e della conseguente allerta. Ad esempio potrebbero essere installati sensori di rilevamento acustico e della temperatura dell’acqua per tenere sotto controllo frane o colate di detriti in zone a rischio, per cui grazie ad una rete di telecomunicazione wireless si potrebbe lanciare un allarme in grado di arrivare a più persone possibile.

Questo genere di tecnologia esiste ed è implementata in alcuni comuni particolarmente virtuosi, ma il problema della diffusione rimane la scarsità dei fondi in dotazione agli enti locali responsabili per la sicurezza dei cittadini. Inoltre c’è un altro problema da risolvere, che rende le nostre città sempre meno smart: la specializzazione richiesta per gestire progetti di questa natura e la intricatissima burocrazia che la regola richiedono competenze sempre più difficili da reperire. E torniamo così al noto archetipo dell’innovazione in salsa italiana, ossia a un salto in avanti culturale, a livello di applicazione concreta dei progetti redatti sulla che troppo spesso latita.

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