Nutriscore cambia l’algoritmo. A beneficio di chi?L'IDEA DI PIETRO PAGANINI

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Come reagireste se, da domani, il codice della strada vi dicesse che non si può più attraversare con il semaforo verde? La domanda, o meglio, la polemica mi balza in mente alla notizia che la società francese che gestisce il Nutriscore ha deciso di modificare l’algoritmo di riferimento.

Il sistema di etichettatura a semaforo, noto appunto come Nutriscore, che alcuni gruppi di interesse vorrebbero vedere applicato come obbligatorio su tutti i prodotti alimentari venduti in Europa, è da sempre esposto a critiche e perplessità. Chi lo difende sostiene che sia un efficace e veloce strumento di informazione per il consumatore, sui cibi che fanno bene (quelli etichettati con la A-verde) oppure male (E-rosso). Ci sono ovviamente i gradi intermedi. Chi lo osteggia afferma esattamente il contrario. E soprattutto rivendica la totale assenza di affidabilità scientifica del sistema. Bollare un alimento come buono o cattivo è, in effetti, semplicistico. Ha più senso formulare un calcolo e un ragionamento in cui il cibo è messo in rapporto alla persona e ad alcuni parametri. Per esempio, età, salute, tenore di vita.

I LIMITI DEL NUTRISCORE           

Gli esempi sulla scarsa logicità del Nutriscore sono stati fatti tante volte, ma merita ripercorrerli brevemente. Assegnare la lettera A-verde a cento grammi – misura standard per il calcolo dell’algoritmo – di insalata e la D-rossa sempre a cento grammi di olio di oliva non ha senso. Perché consumare in una giornata un etto di olio non è plausibile. Mentre mangiarne solo cento di insalata, perché l’A-verde mi induce a credere che sia un alimento buono, non è di per sé salutare. Una dieta è sana se è variegata. Va ricordato sempre.

Al netto della querelle – peraltro il discorso delle etichettature rientra in una questione di portata globale, finalizzata a trovare una soluzione per una nutrizione corretta – la modifica dell’algoritmo scompagina le carte per chi l’ha finora supportato.

DA A A C: COME CAMBIA L’ALGORITMO 

Secondo alcuni calcoli, non sono pochi i prodotti che subiscono un brusco ridimensionamento, da A a C o da C a D. In pratica quegli alimenti classificati in un passato per nulla remoto come salutari oggi vengono bloccati. È uno stravolgimento della semantica. O ancora peggio, una sua libera interpretazione. L’algoritmo così, da procedimento matematico inopinabile, diventa una sorta di database fluido e deformabile on demand. A costo di passare per complottista, è lecito chiedersi a beneficio di chi.

Perché alcuni prodotti sono stati spacciati, finora, come adatti per un consumo senza limiti (A verde), ora sono valutati come appena passabili (C giallo)?

IL PROBLEMA DI QUANTO STA ACCADENDO È DUPLICE:       
  1. Assegnando A a prodotti particolarmente calorici, o con un alto contenuto di “nutrients of concern”, il Nutriscore ha fatto male alla salute dei consumatori, inducendoli a una scarsa moderazione;
  2. Molte aziende sono state pesantemente danneggiate dai semafori rossi che certificavano come nocivi per la salute quei prodotti ora etichettati con il verde o il giallo. Il danno competitivo per loro è stato enorme. E adesso – siamo al paradosso! – c’è il rischio che, per smaltire le scorte di magazzino, alcune imprese mettano sul mercato lo stesso prodotto, ma con etichettature differenti. Di conseguenza, immaginiamoci la reazione di una mamma di fronte a una confezione di fiocchi d’avena ricoperti di cioccolato, fino a ieri ottimi per la colazione dei suoi bambini, mentre oggi classificati quasi come una sostanza tossica.
NUTRISCORE: TRA SALUTE, MARKETING E DUBBI SCIENTIFICI  

C’è un problema quindi di salute, oltre che di correttezza commerciale. Entrambi elementi che i gestori del Nutriscore ci hanno fatto sempre credere che non fossero oggetto di discussione. Anzi, l’esattezza, a dir loro, dell’algoritmo avrebbe facilitato le scelte della persona, senza entrare in merito agli equilibri del mercato.

Al contrario, l’accaduto rende necessario che il Nutriscore venga inquadrato per quello che è: un claim salutistico. Una sorta di etichetta “Bio”, catchy dal punto di vista grafico, ma del tutto fuorviante in termini di informazioni

Non è un caso che il suo dossier si sia arenato in Commissione Ue. Nonostante l’inclinazione ad accelerare le policy di sostenibilità – ambientale, sociale e salutistica – piovute spesso dall’alto e così imposte ai cittadini dell’Unione europea, anche Bruxelles sa che ci sono dei limiti da non poter superare. Primo fra tutti l’opinabilità dei procedimenti matematici e della scienza.

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Articolo pubblicato su Huffington Post >>>

Image credits: courtesy of Ansa >>>

 

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