Prendersela con i Robot è il Nuovo AlibiL'articolo di Stefano Cianciotta per Il Foglio

La globalizzazione è una straordinaria occasione per i giovani italiani per spostarsi verso quei luoghi che offrono condizioni che a casa non si trovano. E’ anche una magnifica opportunità per aprire le nostre porte a giovani altrettanto brillanti, del cui contributo può beneficiare il nostro progresso sociale ed economico.

I cervelli, compresi quelli italiani, non sono in fuga ma in movimento. Giovani talentuosi e motivati che vanno e che vengono: è questo lo spirito della globalizzazione. Ma in Italia, paese dove 2 milioni di ragazzi dai 15 ai 24 anni hanno scelto di non studiare e neppure provare a cercare un lavoro, la globalizzazione, la migrazione dei cervelli e la crisi sono diventati l’alibi per proteggere ancora di più i nostri figli, destinandoli così alla paralisi e alla emarginazione.

L’ennesimo alibi per alimentare il mainstream che è inutile impegnarsi perché tanto non c’è e non ci sarà lavoro, è la paura per la presenza inquietante dei robot, che ci ruberanno i pochi posti non ancora sottratti dagli immigrati. L’automazione, invece, è entrata nel mondo del lavoro da molti decenni e il primo bancomat ha segnato inevitabilmente l’inizio della fine del posto di lavoro più ambito fino a venti anni fa: il bancario.

Così come la T Model di Henry Ford aveva per sempre distrutto agli inizi del Novecento un’intera filiera occupazionale che gravitava intorno alle carrozze, i cui proprietari un po’ come accade oggi in Italia con i tassisti, protestarono in modo veemente per bloccare il progresso. Con la precedente rivoluzione industriale milioni di persone hanno abbandonato le campagne per andare in città a svolgere occupazioni fino a quel momento impensabili.

Negli ultimi anni, come ha segnalato uno studio di LinkedIn, il processo di migrazione dei cervelli si è addirittura invertito. Sono sempre di più, infatti, i professionisti e gli studenti che dai continenti tradizionalmente ricchi (Europa e Stati Uniti) muovono verso i nuovi paesi ricchi, come Emirati, Arabia Saudita e India, ma anche verso paesi economicamente attrattivi anche se politicamente o socialmente complessi, come la Nigeria o il Sudafrica, la cui classe media sta incontrando una crescita economica significativa.

Secondo uno studio McKinsey, circa il 40 per cento della disoccupazione giovanile è attribuibile alla divergenza tra profili richiesti e competenze dei giovani. Le aziende chiedono, infatti, giovani diplo mati e laureati che sappiano tradurre le buone competenze teoriche in contesti concreti di lavoro. La disoccupazione giovanile, quindi, non è solo legata ai cicli economici ma anche a una significativa distanza tra domanda e offerta di professionalità, che in Italia deriva da un persistente scarso dialogo tra il sistema educativo e il tessuto produttivo. In Inghilterra le università adeguano ogni anno l’ offerta formativa ai cambiamenti continui del mercato del lavoro.

La bassa qualità del lavoro in Italia conferma quanto abbiamo scritto altre volte: da noi la distanza tra la scuola e il lavoro è troppo elevata, e la precarietà e la ripetitività hanno alla base la scarsa competenza del lavoratore.
La scuola e l’ università non possono più essere istituzioni separate dal resto della società, e in particolare dal mercato del lavoro, ma oggi più che mai devono essere integrate come spazio dove allenare costantemente curiosità, creatività e intraprendenza, oltre che apprendere nuove conoscenze ed esperienze.

Riprogettare le politiche industriali significa riprogettare il sistema della formazione. Gli stessi modelli organizzativi sono indirizzati a stimolare il potere creativo e imprenditoriale dei dipendenti, che non sono più tali, cioè non dipendono più da cariche superiori o da azionisti, ma sono una parte attiva dell’ organizzazione.

Ci piacerebbe, quindi, che la formazione, l’istruzione e il lavoro (perché non riunirli sotto lo stesso ministero?) diventassero un unico tema nell’ agenda della campagna elettorale. Investire sulla qualità del sistema formativo significa tornare a fare i conti con le parole speranza e futuro.

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