Rappresentanza di Interessi e Nuova Legge Elettorale: Quali Direzioni?Lo Scenario Politico di Lorenzo Castellani

Se la nuova legge elettorale arriverà in porto il mercato politico della democrazia italiana risulterà radicalmente diverso nella prossima legislatura. Infatti, benché superficialmente una grande coalizione può sembrare la continuazione degli ultimi cinque anni molti cambiamenti lievitano sotto questa patina, soprattutto per gli addetti ai lavori. Vediamoli con un semplice elenco:

1) Ad oggi i gruppi politici in Parlamento sono 12 alla Camera e 11 al Senato. Una vera e propria proliferazione che per i rappresentanti d’interessi (aziende, associazioni, ordini professionali ecc) ha rappresentato sia un’opportunità dovuta alla moltiplicazione degli interlocutori sia un problema sull’affidabilità degli stessi le cui sorti politiche sono spesso ballerine ed incerte. Con la nuova elegge elettorale, che prevede uno sbarramento al 5% per entrare in Parlamento, è difficile che si raggiunga un frazionamento di questa portata. Inoltre, il mercato politico diventerà oligopolistico con massimo 4/5 gruppi parlamentari a dividersi la torta dei seggi parlamentari.

2) Se si arriverà, come pare oggi probabile, ad una coalizione tra il PD e Forza Italia cambieranno molti interlocutori per aziende, associazioni e ordini professionali, soprattuto nelle posizioni di sottogoverno. Con buone probabilità i “centristi” oggi decisamente sovra rappresentati ed influenti nei ministeri e sulle scelte di policies resteranno fuori del tutto o in parte dal governo. Gran parte di queste posizioni chiave, nelle Commissioni parlamentari, nei Gabinetti e nelle alte sfere della PA, potrebbe essere rimpiazzata da parlamentari di Forza Italia (specie se da i berlusconiani dipenderà la vita del governo), da tecnici (qualora Renzi non riesca a tornare a Palazzo Chigi) e, ovviamente, dai renziani. Nonostante queste novità gli addetti ai lavori possono restare tranquilli per quanto riguarda i numeri in agenda: considerato il nuovo meccanismo elettorale e lo scenario politico è improbabile che ci siano grosse novità, in termini di ricambio politico, tra i banchi del Parlamento (in particolare per quanto riguarda Forza Italia). Questo sempre che, alle urne, non ci siano sorprese, come un Parlamento appeso o una coalizione alternativa (probabilmente tra M5S e Lega).

3) Pochi lo ricordano, ma dal 2017 è finito il finanziamento pubblico ai partiti (seppur permane una lunga serie di rimborsi). Gli attori politici cercheranno sempre più di reperire risorse “sul mercato” cercando di instaurare rapporti con gli stakeholders privati. Sempre più fondamentale diventerà il ruolo delle fondazioni politiche, veri e propri passe-par-tout (per l’opacità che sono in grado di assicurare grazie ad una legislazione compiacente) per il finanziamento delle attività politiche. Come nota Francesco Galietti nell’ultimo numero di Limes attraverso questa porta potrebbero passare i finanziamenti esteri che intendono condizionare le strategie geopolitiche italiane, magari “mascherati” da donazioni aziendali da parte di multinazionali “sovrane”.

4) Con i collegi e il listino bloccato del nuovo sistema elettorale, ancora una volta, tutto il potere sarà nelle mani dei partiti, si dice. Tuttavia i partiti non sono che specchietti per le allodole, ridotti a fan-club e comitati elettorali, e ciò significa che tutto sarà accentrato nelle mani di quattro leader (Berlusconi, Salvini, Renzi, Grillo) e dei loro fedelissimi. Da li bisognerà passare per entrare nelle stanze del potere, per influenzare l’agenda politica e gestire i processi di policy-making. I 225 collegi della Camera e i 115 del Senato possono offrire, inoltre, delle opportunità sulle issues locali (si pensi ai temi ambientali o alle infrastrutture) per influenzare l’opinione pubblica, e quindi l’agenda, di coloro che competeranno nei collegi uninominali.

5) Le vicende degli ultimi due anni e, in particolare, i programmi elettorali di tutti i partiti mostrano un trend chiaro: sarà difficilissimo ottenere provvedimenti di liberalizzazione dei mercati, mentre sarà più facile che in passato bloccare le iniziative che proveranno ad aprire nuovi mercati (anche qui sempre che non arrivi un governo tecnico o la Troika). Probabile che le politiche dei prossimi anni, sotto la pressione della protesta populista e della fine dell’austerità, si orientino su programmi di finanziamento pubblico per infrastrutture e particolari tipologie d’imprese (come il Piano Industria 4.0 già dimostra). I dati su voti di fiducia e decreti-legge mostrano come il processo legislativo sia sempre più accentrato nelle mani dell’esecutivo. Continueranno ad esserci provvedimenti “blindati” su cui si reggeranno il patto di coalizione e quelli con l’Europa, mentre il Parlamento sarà, come sempre, luogo di trattativa inter-coalizionale e potrà decidere sui tempi di alcuni provvedimenti “secondari”, sui quali i partiti, e i portatori d’interessi, potrebbero avere più ampio margine di manovra.

In conclusione, proviamo spingere lo sguardo più in lontananza. Questa analisi sarebbe difatti incompleta e poco calata nella realtà se prendesse in considerazione la sola evoluzione ed il mutamento delle forme di governo e ne tralasciasse i rapporti con i rappresentanti di interessi. Specie in un momento in cui il concetto di rappresentanza inteso come nesso fondamentale fra interessi coinvolti nel processo di policy-making e attività legislativa sembra sulla via del tramonto.

I partiti sono in crisi, avendo ormai perduto ogni residuale identità collettiva, anche a fronte di una società post-moderna pluridifferenziata nei suoi interessi specifici. La democrazia parlamentare non sembra più in grado di gestire la complessità tecnica degli interessi stessi, con il conseguente indebolimento del Parlamento ed il rafforzamento – oltre che del Governo – proprio dei gruppi di interesse, soprattutto come veto players. Questi ultimi sono forze organiche coinvolte nei processi governativi seppur privi di una specifica disciplina né tantomeno di una istituzionalizzazione, ma che risultano spesso tecnicamente più competenti, nel suggerire e disegnare politiche pubbliche, rispetto agli stessi membri del Parlamento.

La democrazia parlamentare pare cedere il passo a un’organizzazione “neo-corporativa”, un nuovo modello alternativo al parlamentarismo, che risulta invece troppo lento, e più incline a bloccare le riforme più che a completarle (“vetocrazia” la chiama Francis Fukuyama), per le esigenze della società post-moderna. Basti pensare all’incapacità del Parlamento di legiferare sui temi più sentiti o di maggior responsabilità e di tutte le volte in cui la magistratura finisce per incarnare il ruolo del legislatore, per l’assenza di un intervento parlamentare. Paradossalmente il ritorno di un sistema elettorale proporzionale e delle coalizioni parlamentari non segna un completo ritorno al passato, in cui tutto veniva gestito tra partiti e formalizzato in Parlamento, perché le istituzioni in questione sono irrimediabilmente cambiate. Oggi, sempre di più, le decisioni sugli interessi passano dal governo, dal “potere terzo” della magistratura, dalle istituzioni sovranazionali e dipendono, sia sul piano generale che su quello delle singole policy, dalla evoluzione del quadro politico-economico internazionale e nazionale. La capacità di leggere trasversalmente questi scenari è un requisito di crescente importanza per chi vuol far valere i propri interessi al tavolo del potere.

Il ruolo dei gruppi di interesse, in un’epoca che potremmo definire, con una frase ad effetto, “post-parlamentare”, pare rafforzato e destinato a divenire sempre più fondamentale, a livello sia tecnico che politico. Ci si interroga a questo punto sulla opportunità di istituzionalizzarne la funzione, problematica toccata negli anni dalle teorie istituzionali più svariate, con soluzioni che spaziano dall’istituzione di una terza Camera ad hoc (la proposta di Gianfranco Miglio e, in origine, prevista della stessa Costituzione con il CNEL) ad una modifica di una delle due camere come luogo di diretta rappresentanza dei portatori d’interesse (proposta del politologo italiano Mongardini e quella simile di Pierre Rosanvallon sulle istituzioni europee). Modi e forme su cui avremo ampiamente modo di discutere nel prossimo futuro, anche alla luce dei cambiamenti che prevediamo possano avvenire.

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