Se l’Ente Pubblico Non Ha Fatto il MilitareL'Intervista di Stefano Cianciotta per La Città

Analisi del rischio e gestione della comunicazione: la pubblica amministrazione dovrebbe andare a scuola dalle forze armate.

A dicembre il silenzio sull’incidente di agosto. Stavolta una comunicazione asettica, generica e incomprensibile. Effetti diversi ma sempre negativi sulla popolazione. Come si comunicano correttamente informazioni cosí delicate?

I fatti di cronaca delle ultime ore hanno accesso ancora una volta i riflettori sul tema della comunicazione di emergenza nella Pubblica Amministrazione, mettendo sul banco degli imputati l’incapacità della Pa di procedere a una puntuale analisi del rischio prima e della corretta risposta ai rischi, al momento dell’accadimento.

Il processo di gestione della comunicazione invece, è il risultato di un’attenta e scrupolosa strategia nella scelta delle parole usate, delle modalità di trasmissione del messaggio e dello stile di comunicazione di chi svolge e ricopre ruoli di responsabilità pubblica.

Tra il controllo dell’8 maggio e oggi, 11 maggio, non si conosce ancora l’origine dell’inquinamento generico perché manca un documento. Per le istituzioni stavolta il dovere di comunicare é stato assolto, ma come é possibile che il risultato sia invece la disinformazione totale?

Perché ritengono che il loro dovere si sia esaurito con la compilazione di un adempimento burocratico, che a monte però dovrebbe contemplare una attenta analisi del rischio, la capacità di valutare l’impatto di quelle affermazioni sulla opinione pubblica, e le modalità di comunicazione. Questi processi non si improvvisano, e se non sono stati pianificati e se non sono parte di una cultura organizzativa, quando si verifica una crisi, il sistema collassa.

Anche stavolta abbiamo assistito ad un incredibile ritardo tra l’origine del problema e la sua comunicazione, a causa della lentezza nei protocolli tra enti. Come si supera questa disorganizzazione?

In Abruzzo, fatta eccezione per la Protezione civile regionale guidata non a caso da un manager che ha diretto il settore della formazione, mancano enti che abbiano istituito Unità di crisi permanenti, la cui composizione formale non servirebbe comunque a nulla, se non fa parte del patrimonio aziendale la cultura di analisi del rischio, della pianificazione e della comunicazione. Per questo si parla di organizzazione e comunicazione del rischio, quest’ultima attività accessoria della pianificazione.

Solo investendo sulla formazione del personale, sul dialogo permanente tra i diversi attori istituzionali, e grazie alla cultura di risk management dei vertici delle aziende pubbliche e degli amministratori locali, si possono fare dei passi in avanti sensibili sul tema. Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla vicenda che ha contrapposto Eni alla trasmissione televisiva Report sulle presunte tangenti pagate da Eni per acquisire i diritti di estrazione in Nigeria.

Eni, grazie alla strategia del team guidato dal Direttore Relazioni esterne Bardazzi, ha risposto colpo su colpo alle accuse di Report, andando in onda in diretta su Facebook durante la trasmissione televisiva. Quei quindici minuti di diretta Facebook, però, sono stati il frutto di settimane di lavoro con tutta l’organizzazione interna, dall’Ufficio legale, all’Ufficio Stampa ai progettisti, che abbiamo analizzato a fondo in aula con gli studenti del mio corso all’Università di Teramo.

La tutela della reputazione, ancora una volta è al minimo per le istituzioni abruzzesi, passa dalla organizzazione delle competenze multidisciplinari. In Abruzzo solo la Protezione civile regionale, guidata da Antonio Iovino, è un modello sulla gestione dell’emergenza.

Occorre pertanto investire sulle persone capaci, e creare modelli di individuazione e valutazione del rischio. Il tema centrale resta sempre quello della organizzazione delle risorse umane: non abbiamo bisogno di staff pieni di persone, ma di centri di responsabilità che sappiano valutare le problematiche e offrire la propria analisi perché le istituzioni decidano al meglio.

Altrimenti la politica è destinata a soccombere sotto le legittime richieste di una pubblica opinione sempre più attenta e sensibile agli interessi diffusi. In fondo il processo alla Commissione Grandi Rischi trenta anni fa sarebbe stato impossibile.

Ora i cittadini hanno modalità e strumenti per controllare i propri amministratori, e pretendono di essere informati in modo chiaro e trasparente.

Da una parte i tecnici che allarmano. Dall’altra i politici che rassicurano. In fondo le reazioni da psicosi della popolazione, che non sa come comportarsi: come si prepara la cittadinanza ad avere a che fare con un sistema fragile?

Se si è efficaci nel comunicare alla popolazione l’esistenza di un rischio, ciò consentirà di gestire al meglio l’eventuale emergenza. Allarmare la popolazione non significa creare panico ma prepararla adeguatamente a convivere con situazioni di rischio, anche se potenzialmente possono generare un danno economico alla comunità, o ad una parte di essa.  Questi principi vanno supportati da uno degli strumenti più efficaci nel management e nella comunicazione di crisi: la tempestività delle azioni di comunicazione che impone non solo che si arrivi preparati alla analisi di una situazione potenziale di crisi, ma che si agisca efficacemente per fare fronte alla velocità con la quale la rete e i social network si organizzano e informano per divulgare le informazioni. Questo è possibile solo se l’emergenza viene affrontata in modo da creare un flusso di informazioni certe e affidabili per il cittadino che, in assenza di punti di riferimento e fonti attendibili, si affida alla notizia più rapida e al passaparola, con il rischio concreto che le istituzioni perdano il con­trollo delle informazioni verificate (come si è puntualmente verificato ancora una volta), generando un cortocircuito dal quale poi è difficile tornare indietro. La rete, infatti, è di­ventato un mezzo innovativo per la comunicazione del rischio ma è anche un luogo pericoloso dove la cattiva gestione della comunicazione può trasformare una veri­tà in allarmismo, e generare confusione e caos tra i cittadini.

Non trovi che per dirigenti di Pa, tecnici di infrastrutture e politici servirebbe un bel corso di comunicazione di crisi? Un vademecum di cosa fare, dire e comunicare?

Dal 2015 ho la fortuna di lavorare come formatore con il Ministero della Difesa, e in questi anni mi sono confrontato sul tema del management di crisi con oltre 150 ufficiali delle Forze Armate, e svolto seminari in due occasioni con gli alti ufficiali della Nato. La professionalità che ho riscontrato non ha eguali nella Pa italiana, ed è il risultato di un continuo processo di formazione anche internazionale, così come richiesto dalla stessa Nato, che opera in ambito di Comunicazione strategica. Questo modello, inoltre, è risultato vincente perché ha obbligato le Forze Armate (Esercito, Aeronautica, Marina e Carabinieri) a dialogare e a trovare un elemento comune sul quale costruire la propria identità. In questa ultima crisi abbiamo assistito ad organismi istituzionali che continuano a parlarsi solo attraverso gli atti.

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