Non Servono Soldi, Serve una Visione. Un Augurio per il 2021L'IDEA DI GIACOMO BANDINI

Nel 2020, di fronte ad una pandemia di tali proporzioni, sia la politica italiana sia quella europea si sono mosse a velocità alterne. L’impressione è che nessun livello decisionale abbia una visione ben precisa della ripresa dopo la crisi. Perché non impariamo dal passato e non pensiamo alla fase della ricostruzione, invece di discutere solo di fondi e prestiti?

La crisi economica non verrà superata con la semplice immissione di liquidità nel sistema. Che sia destinata alle linee tradizionali di credito o si prosegua con i piani di Quantitative Easing, la soluzione non è mai così facile. È bene ricordare che la stagnazione italiana è una storia a sé – solamente aggravata dal Coronavirus – con radici profonde e risale a decenni fa. Quando negli anni ’80 la produttività si è fermata. Serve una nuova strategia industriale fondata su investimenti, consumi e soprattutto innovazione tecnologica.

PERCHÉ È IMPORTANTE

Il rischio di una nuova crisi non è più il basso tenore della crescita, ma una depressione lenta e prolungata nei prossimi anni che aumenterà ancora di più il divario di reddito tra giovani e anziani e tra fasce geografiche (Nord-Sud). Ciò, unito alla situazione demografica e ad un indebitamento molto elevato, determinerà una spirale viziosa da cui sarà sempre più difficile uscire. Queste sono le sfide principali della politica per il 2021 e i prossimi decenni e includono anche il nostro rapporto con l’Unione Europea:

  • Debito pubblico e vincoli di bilancio
  • Ampliamento dei divari generazionali e geografici
  • Demografia e cambiamento nella composizione della società
  • Carenza di produttività e gap tecnologico (inclusa la formazione della forza lavoro).
IMPARARE DAL PASSATO 

Le emergenze economiche di una simile portata non sono mai state superate con l’insicurezza. Il timore è che in questo momento nessuna delle istituzioni che ci governano abbia un’idea precisa, ma si limiti a formulare delle linee guida generiche e soggette a interpretazioni molto soggettive. Dopo la crisi del ’29, per esempio, non furono semplicemente adottate misure di sostegno “keynesiane”. Gli Stati Uniti nel decennio successivo, complice anche la guerra, iniziarono a ripensare i modelli di produzione introducendo innovazioni di media portata (non si parla del vapore o dell’elettricità) che però le permisero di riconvertire rapidamente una buona parte dell’industria e incrementare la produttività.

Nel 1945, è bene ricordarlo, un’Italia in macerie riuscì a rialzarsi non solo grazie ai vasti piani di investimento tra cui il cosiddetto European Recovery Program (Piano Marshall), ma anche grazie alla costruzione di un primo sistema nazionale d’innovazione. Il rapido cambiamento tecnologico, seppure rimasto incompiuto, ha segnato il periodo del Miracolo Economico. Sono stati gli anni degli investimenti, dei consumi e delle nuove tecnologie. Questo ha permesso un recupero senza precedenti che ha posto l’Italia tra i giganti mondiali con una produttività straordinaria. Inoltre, la capacità del settore privato e di quello pubblico di cooperare per l’avanzamento del Paese fece la differenza. Un modello misto di mercato capace di produrre una politica industriale funzionale alle esigenze e alle risorse italiane.

Produttività totale dei fattori (confronto tra Italia, Germania, USA e Giappone)

 

LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

Ciò che accomuna i due periodi citati è la visione che la politica seppe mettere a disposizione del paese per affrontare le spese. Nel 2020 abbiamo visto molta indecisione e talvolta scarsa solidarietà a livello europeo, mettendo a repentaglio le opportunità di una ripresa. Internamente, il Governo è apparso insicuro, diviso e limitato nel definire una strategia, limitandosi ad eseguire il “compitino” affidatogli dall’Europa (si veda il #NextGenerationItaly ancora abbozzato e ripetitivo). Spesso si è affidato a corpi estranei (tecnici, consiglieri, task force) per mostrare un certo dinamismo, salvo poi metterli da parte.

Sul fronte europeo la reazione è stata sicuramente più organizzata sul piano dei fondi. Tuttavia permane una divisione palpabile tra Nord e Sud (come l’Italia) e anche per questo non è stata capace nei suoi anni di vita di realizzare una politica industriale armonizzata con benefici mutuali. Così come non è in grado, oggi, di competere con i due colossi globali: USA e Cina. Il campione continentale è la virtuosa Germania, forte di una manifattura in grado di anticipare le trasformazioni e di una politica stabile. Gli altri hanno subito un declino inesorabile con qualche piccola eccezione. La nuova Commissione ha individuato alcune priorità come sostenibilità e digitalizzazione che tutti i membri sono chiamati a seguire. Poco ancora si è visto sul piano delle politiche da applicare. Quali sono i settori chiave per il futuro dell’Unione? Saranno declinabili in tutte le sue aree geo-politiche?

NON È SOLO QUESTIONE DI LIQUIDITÀ (MA DI VISIONE)

In Italia, invece, il dibattito è rimasto fermo a MES SÌ o MES NO. La politica si aggrappa alle risorse del piano #NextGenerationEurope senza una strategia precisa. La confusione ha fatto perdere il focus: da una crisi non si esce solo aumentando la liquidità o facendo deficit, si esce avendo una strategia precisa. A parte le spese sanitarie e il sostegno blando alle imprese e ai cittadini, come vogliamo utilizzare una potenziale espansione monetaria?

L’esempio ce l’abbiamo davanti. Negli anni del Dopoguerra furono investimenti e consumi il traino. Mancò la vera fase tecnologica. Perché non puntare su questa ora? Molti processi sono già in atto, ma sono rimasti a metà, ricordando anche che in Italia ci sono 1682 miliardi di depositi immobilizzati che potrebbero essere trasformati, in parte, in investimenti. Mancano le infrastrutture, sia fisiche sia digitali. Mancano le competenze e la formazione avanzate per un rilancio dell’industria in senso 4.0. Necessitiamo di incominciare a produrre innovazione in modo endogeno – anche come Unione Europea – e ridurre la dipendenza dall’estero.

Una politica di visione non può affidarsi solo ai consigli degli esperti. Deve avere consapevolezza e visione. Senza esse, è inefficace se non inutile. Il rischio è quello di farci mangiare dagli altri. Il 2021 potrebbe essere l’anno del rilancio se la politica saprà convogliare le risorse nei giusti quadri politici e guardare ad una strategia di lungo periodo. E questo vale per l’Italia come per l’Unione Europea.

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