Smart Working, il Futuro delle PMI nelle Nuove NormeL'articolo di Benedetta Fiani per Agendadigitale.eu

Nonostante il concetto di smart working non sia ancora completamente immagazzinato fra i tessuti industriali ed occupazionali del nostro Paese, alcune grandi aziende hanno accolto questo nuovo modello con entusiasmo e in tempi non sospetti, introducendo lo smart working in via sperimentale: grazie ai benefici e ai risultati ottenuti è stato, così, possibile ampliarne le iniziative. Nell’ambito della sperimentazione, è stata data ai dipendenti la possibilità di lavorare da casa o in una sede differente; c’è chi ha messo a disposizione dispositivi come smartphone, tablet e pc per lavorare da remoto qualche giorno a settimana. Per altri lo smart working si è concretizzato in una semplice autonomia dell’orario lavorativo. Ogni azienda è riuscita a dare una personale interpretazione di lavoro agile, definendo i termini e le caratteristiche sulla base delle proprie esigenze e del tipo di struttura. Oggi in Italia sono già 250 mila gli smart workers, ossia il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti, registrando un aumento del 40% rispetto alle rilevazioni del 2013 (dati Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, 2016).

Ma se per le grandi società, lo smart working è stato uno stimolo, la situazione nelle piccole e medie imprese è molto diversa e rischia di frenarne l’avanzamento. Il divario tra le due realtà è notevole: il 17% delle grandi imprese ha in atto progetti strutturati di smart working, mentre le PMI sono solo il 5% e più di una su due non conosce l’argomento o non sembra interessata.

Il confronto fra grandi e piccole e medie imprese aiuta a capire la portata del divario: l’utilizzo di device mobile per lavorare fuori dalla propria postazione coinvolge il 91% delle grandi aziende italiane, contro il 49% di quelle piccole e medie. Se l’82% delle grandi società ha aderito alla flessibilità d’orario, solo il 44% delle PMI ha fatto altrettanto. E ancora, il 44% delle grandi aziende ha introdotto una certa flessibilità sul luogo di lavoro, contro il 22% delle PMI.

Ma perché tanta differenza? Le grandi imprese in Italia si posizionano all’interno di un contesto internazionale, beneficiano dell’influenza delle aziende estere che hanno già adottato questo modello e hanno l’esigenza di confrontarsi con loro. Invece, tra le PMI c’è una consapevolezza diversa di cosa significhi adattare l’azienda a nuovi standard e questo alimenta, in primo luogo il timore di muoversi per primi su un terreno poco chiaro, anche dal punto di vista legislativo, e secondariamente l’attaccamento ad una cultura organizzativa profondamente tradizionale e che si traduce nella scarsa consapevolezza dei benefici ottenibili. Ma è soprattutto la mentalità ad ostacolare le piccole imprese: la paura che i dipendenti approfittino della situazione per lavorare meno e che la flessibilità sia intesa solo come lavoro da casa. A queste considerazioni si aggiunge una riflessione di tipo economico: l’investimento per modificare gli spazi e aggiornare le tecnologie è giustificato? Ne vale la pena?

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