Sulla Sconfittadi Raffaello Morelli

Nell’Italia di oggi, il termine sconfitta è una parolaccia da non usare in tv, nei salotti dabbene e soprattutto in presenza di bambini. Almeno quando si discutono vicende socio politiche odierne. Se invece si trattano vicende socio politiche vecchissime sperimentate ampiamente, allora il concetto stesso del termine sconfitta è rimosso: si giudica inammissibile dare più credito ad un’attività pratica (come lo sperimentare  i risultati reali) piuttosto che a teorie pensate da esperti qualificati per predicare  la sicurezza del bene comune. Tanto inammissibile che non pochi giungono a negare l’esistenza di tragedie provocate da certe concezioni di bene comune.

Per  i liberali tale stato di cose è surreale e ammorba il clima della convivenza causando il regresso dell’Italia.  In un campo determinante per l’andamento del vivere insieme, si pretende  che esibire la forza e vincere sia l’unico dovere civile (il resto non conterebbe e andrebbe rottamato). Non sussistono dubbi né sul  come e in nome di cosa si sia vinto (vincere ad ogni costo prevale sul motivo del riuscirci) né sul dato che anche la sconfitta faccia parte inscindibile dell’esistere e del convivere (la sconfitta rammenta l’aborrito sperimentare). Di fatti l’una e l’altra cosa toccano l’aspetto del rapporto con gli altri: l’influenzarli (la vittoria) e l’esserne influenzati (la sconfitta). Dunque il principio del vincere comunque ad ogni costo equivale ad un io impositivo (singolo e gruppo)  qualunque sia il contesto, che rifugge la procedura sperimentale in quanto tale procedura lo mette in discussione col preferire i fatti concreti del convivere rispetto alle teorie immaginifiche e ai sogni  eccitanti.

Il punto è che usare in politica teorie e sogni è un sistema fossile del passato (per questo la cosiddetta vocazione maggioritaria è un’assurdità, siccome non contraddistingue una politica dinamica bensì l’ispirarsi all’immobilismo conformista). Le società contemporanee avanzate si governano al meglio affidandosi alla scelta che tutti i cittadini (non solo i presunti grandi uomini e neppure gli sparuti drappelli interpellati dai sondaggisti) compiono tra i progetti specifici proposti in base alle loro convinzioni. Nella situazione odierna, la cosa importante è così divenuta non il vincere ma il  contenuto del progetto che vince. E se la successiva prova sperimentale boccia il prodotto di una proposta vincente (ma pure se non lo promuove del tutto), occorre riflettere sulle altre proposte incluse quelle perdenti (a cominciare da quelle che tengono già conto di altri risultati sperimentali) e inoltre quelle più attente alle richieste praticabili dei cittadini. Dunque la sconfitta non è necessariamente la fine della storia e una condizione irrimediabile. Di certo non è una parolaccia.

Per questo, secondo i liberali, le sconfitte non vanno perseguite ma, quando arrivano vanno affrontate sforzandosi di capirne la ragione e di migliorare la proposta d’origine per adeguarla alla situazione reale.  Perché la vita continua e permane il problema di governare la convivenza tra una miriade di cittadini diversi. L’esperienza dimostra che tale diversità si può comporre fruttuosamente mediante un conflitto democratico tra i vari progetti fondato sulla loro sperimentazione pratica. Quindi con successi ed insuccessi. E che ogni progetto può risultare tanto più efficace quanto più esprime la capacità di corrispondere all’osservazione critica sui meccanismi del mondo reale. I progetti teorici fondati  su concezioni puramente ideologiche e religiose  esplicano effetti civili assai più limitati, assai più lenti  e assai meno capaci di star dietro i cambiamenti al passar del tempo, tanto che per mettersi al passo, non di rado,  ricorrono a rotture rivoluzionarie nella solita illusione di aver trovato il modello perfetto. Naturalmente seguite dalla inevitabile scoperta che i reali problemi di fondo esistono ancora, per lo più aggravati.

In Italia, per cessare di rincorrere la vittoria ad ogni costo slegata dalle esigenze concrete dei cittadini, è indispensabile riscoprire l’importanza del metodo liberale fondato sulla libertà, sullo spirito critico e sul legarsi ai fatti. E’ fatalmente inadeguato un governo che sia distaccato da questo metodo, centrato invece sul cogliere con saggio realismo e rapidità cosa richiedono il cambiare le istituzioni e gli equilibri economico civili, mantenendo sempre fermo il vincolo dell’affidarsi alla libera scelta dei cittadini. Addirittura, quel metodo i grossi partiti hanno tentato di assorbirlo nel loro corpo, operazione sterile perché al fondo non sono miscibili la cultura e i  comportamenti rispettivi.

Tale pluridecennale incomprensione di quel metodo da parte dei grossi ha comportato che i cittadini, una volta constatato che i gruppi dirigenti non sono in grado di governare con politiche virtuose dal punto di vista civico, ormai esasperati votano chiunque, come i populisti,  non abbia precedenti che ne escludano in partenza l’affidabilità. Sorvolano – quasi intontiti dall’abitudine alla fissazione del voler vincere  e basta – sul fatto che il populista non ha progetti all’infuori delle promesse parolaie sorde agli avvenimenti storici (vedi il gabellare Rousseau, fossile della seconda metà ‘700, quale faro del futuro  civile odierno).  Ma, anche nel caso di lotta al populismo, è inutile rispolverare il criterio “prima di tutto vincere”, sostenendo, come il rieccolo Berlusconi, che bisogna battere il ribellismo. Perché  i ribelli si oppongono all’ordine costituito e opporsi all’ordine costituito è appunto quello che  comprensibilmente oggi vogliono i cittadini (non solo in Italia). Quindi accusarli di ribellismo favorisce i populisti.

La strada per combatterli è insistere, inducendo a riflettere, che per migliorare una condizione istituzionale e sociale insoddisfacenti occorre un preciso progetto riferito ai nuovi bisogni, che sia  capace di funzionare in base alle esperienze sperimentate secondo il metodo liberale. Dunque, influiscono poco o niente progetti  provenienti da chi non è credibile presso il grande pubblico. O perché prima non ha mai realizzato i programmi propagandati oppure perché l’anno scorso ha tentato un’operazione oligarchica a danno del cittadino sovrano e oggi pensa più a controllare chi dei suoi sarà eletto che non a vincere le elezioni con il partito di cui è segretario.

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