Tribunale Unificato dei Brevetti: un’occasione per l’ItaliaL'IDEA DI ANTONIO PICASSO

L’Italia può (e deve) diventare un hub di innovazione e di capitale umano. In tal senso, l’assegnazione alla città di Milano della sede del Tribunale Unificato dei Brevetti è un’occasione irripetibile. È quanto emerso durante il convegno “Fare dell’Italia un Innovation Hub. Tribunale Unificato dei Brevetti. Perché Milano?”, organizzato da Competere in collaborazione con la Property Rights Alliance. 

LA STORIA INSEGNA        

Cosa sarebbe successo se Meucci avesse trovato soldi e tempo per depositare la sua invenzione e non farsela scippare da Bell? La storia, si sa, ha riconosciuto la giusta paternità del telefono all’italiano e non al suo concorrente Usa, ma è altrettanto vero che inventori e imprenditori, per quanto romantici possano essere, dei posteri se ne fanno poco. L’efficacia del brevetto depositato sta infatti nel costituire una protezione normativa e quindi una fonte di reddito per chi l’ha depositato.

PERCHÉ MILANO?     

La questione della proprietà intellettuale e quindi industriale è di immediata attualità, visto che si avvicina l’appuntamento europeo di assegnazione della nuova sede del Tribunale Unificato dei Brevetti (Tub), che dopo la Brexit e l’abbandono di Londra, è alla ricerca di una nuova casa. Milano, Parigi e Monaco di Baviera sono le tre finaliste. Se istituzioni e forze produttive italiane giocano una partita congiunta, per il capoluogo lombardo le chance sono maggiori. Anche perché l’Europa ci deve riparare il torto di non averci assegnato la sede dell’Agenzia del farmaco, nel 2017.

Milano, però, oltre che una ragione morale, ha dalla sua skill imprenditoriali invidiabili. Life science, moda, meccatronica, alimentare, editoria, musica. Sono almeno queste sei le macrofiliere che vedono nella Madonnina un faro geografico, e che poi sviluppano le proprie attività in tutta la Lombardia, o meglio ancora il Nord Italia. 

IPRI 2022: ITALIA 46°     

D’altra parte, in fatto di proprietà intellettuale, il nostro Paese non è messo bene. Nell’Indice Ipri 2022 (International Property Rights Index), pubblicato ogni anno dalla Property Rights Alliance, eravamo 46esimi. Perdendo due lunghezze rispetto all’anno prima, con una flessione del 7,22% e registrando un punteggio totale di 5,66. Eravamo sotto di oltre un punto rispetto alla media Ue (6,42), dopo Costa Rica e Slovacchia e appena una posizione sopra la Cina. Disonorevole per l’alta considerazione che si ha del genio italico.

Questo però ci dice che il problema non riguarda soltanto la contraffazione a cui è esposto il Made in Italy. L’Italia sounding è una scopiazzatura declinata in tutte le salse, che va oltre il Parmigiano-Parmesan. No, il punto debole sta anche nell’industria italiana, che spesso manca di sensibilità, disponibilità finanziarie o visione strategica per difendersi in maniera preventiva. Chi scrive ricorda l’amarezza con cui un imprenditore meccatronico lombardo osservava il logo della sua azienda, una C arancione in campo nero, scopiazzato da uno spregiudicato competitor asiatico: una C nera in campo arancione. L’ingegnere sorrideva disincantato al pensiero che poco avrebbe potuto fare con le proprie forze per bloccare quel gesto di concorrenza sleale che veniva da lontano.

UNA LEVA DI INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ 

Ancora oggi, Meucci insegna che tempo e denaro sono determinanti per la difesa del proprio marchio o della nostra invenzione. Come altrettanto Bell ci dice che la tutela della proprietà intellettuale è una leva di innovazione tecnologica e competitività.

Certo, c’è chi argomenta che l’innovatore, una volta uscito dall’ufficio brevetti, rischia di adagiarsi sugli allori del copyright. Ma anche se fosse, le innovazioni primarie tutelate restano un incentivo alla concorrenza e un volano per progetti innovativi di seconda generazione. All’invenzione dello smartphone, è seguita quella degli auricolari e dopo delle cuffie wireless. L’economista Boyan Jovanovic (New York University) ha calcolato che, in Usa per esempio, nel ventennio d’oro dell’Ict (1970-1990), il numero di brevetti per milioni di persone è più che raddoppiato, passando dai poco meno 400 ai quasi 600.

L’assegnazione del Tub a Milano potrebbe permetterci di avere una carta in più per risalire la classifica Ipri. Con l’organo di controllo così vicino e una maggiore certezza del diritto, le imprese – soprattutto le Pmi – sarebbero più motivate a informarsi sui vantaggi della difesa della proprietà intellettuale e sulle risorse da investirvi. Serve però una cultura d’impresa, fatta di una governance manageriale sensibile al tema, e un sistema-Paese in grado di fare politica industriale, in cui l’economia della conoscenza sia un pilastro per lo sviluppo. 

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