Turismo: i rischi della variante OmicronL'idea di Giuseppe Arleo

L’aumento dei contagi dovuto alla nuova variante Omicron e le misure di contenimento necessarie per fermarlo rischiano di mettere in ginocchio il turismo, un comparto che ancora risente – più di altri – delle ricadute economiche legate alla pandemia. Le sofferenze nel comparto alloggio-ristorazione in ottobre hanno ripreso ad aumentare: è un segnale da non sottovalutare.

LA CRISI PANDEMICA

La crisi pandemica e le misure introdotte per limitare la diffusione del contagio hanno determinato, nella primavera del 2020, un crollo dell’economia (Pil in diminuzione di quasi il 19% cumulato nei primi due trimestri) con conseguenze devastanti sul sistema produttivo italiano (-50% il calo della produzione industriale solo tra marzo e aprile). La caduta improvvisa del fatturato, che in alcuni settori si è quasi azzerato, ha colpito in misura drammatica le imprese, con un impatto che è stato estremamente eterogeneo, anche a causa della selettività dei provvedimenti di contenimento del contagio. In risposta al crollo della redditività causato dalla crisi pandemica, il Governo ha adottato diverse misure destinate a sostenere il finanziamento delle imprese, come le garanzie e le moratorie sui prestiti.

L’indebitamento delle imprese è notevolmente aumentato, in particolare per i settori più colpiti dalla crisi (soprattutto alloggio e ristorazione ma anche commercio e automotive), i quali a fronte di una riduzione del cash flow hanno dovuto fare maggiormente ricorso al prestito. Nel 2020 prestiti al settore degli alloggi e ristorazione sono aumentati di 6 miliardi di euro (lo stock di prestiti era 27 miliardi di euro nel 2019) a fronte di flussi di cassa negativi per oltre 10 miliardi. Ad ottobre 2021 lo stock complessivo di debiti al comparto alloggi e ristorazione è di poco più di 37 miliardi di euro.

Di conseguenza, la situazione patrimoniale per alcuni comparti è notevolmente peggiorata, con rischi per la capacità di investimento e per la solvibilità nel medio termine. Gli anni di cash flow necessari a ripagare il debito sono più che raddoppiati in diversi settori: per il commercio all’ingrosso è stato stimato un aumento a 11,5 anni e per l’alloggio e ristorazione a 5,9 anni. 

L’effetto congiunto di calo dei profitti e aumento dell’indebitamento indebolisce la struttura patrimoniale delle imprese, peggiora il merito creditizio e accresce i rischi di insolvenza. Secondo l’ISTAT circa il 45% delle imprese italiane è strutturalmente a rischio di chiusura; la situazione è allarmante soprattutto per le imprese del settore alloggio e ristorazione, già duramente colpite dai provvedimenti introdotti nell’ultimo anno e mezzo. Tra queste il rischio di insolvenza sale fino al 95% nella ristorazione e al 78% nel settore ricettivo. 

I RISCHI DI UNA RICADUTA

La diffusione della variante Omicron e il conseguente aumento dei contagi rischiano di riportare indietro le lancette del tempo allo scorso anno quando la terza ondata, iniziata in ottobre, ha costretto al rafforzamento delle misure di contenimento del Covid e alla chiusura di alcune aree e attività con un impatto negativo sull’andamento dell’economia. Oggi si corre lo stesso rischio, che può essere fatale per molte imprese che non si sono ancora risollevate dall’impatto della crisi pandemica. 

In particolare, i settori del comparto turistico (alloggi e ristorazione) non hanno ancora recuperato la caduta di fatturato registrata nel corso del 2020, nonostante il buon andamento dei mesi estivi. Qualche segnale negativo si comincia ad avvertire: i crediti in sofferenza nel comparto alloggi e ristorazioni sono ancora elevati e in aumento a ottobre rispetto a settembre, per la prima volta da circa un anno: ammontano secondo Banca d’Italia a 1,53 miliardi di euro da 1,51 a settembre, seppure in diminuzione di circa un terzo rispetto a un anno fa (erano 2,3 a ottobre 2020, come si vede nel grafico). È un segnale ancora di difficile interpretazione ma potrebbe evidenziare un aumento delle difficoltà delle imprese del comparto turistico, che potrebbe aggravarsi nei prossimi mesi. Sono prestiti la cui riscossione non è certa per le banche e gli intermediari finanziari che hanno erogato il finanziamento poiché i soggetti debitori si trovano in stato d’insolvenza o in situazioni equiparabili. Nuove misure restrittive rischiano di fare risalire le sofferenze in un comparto già duramente colpito. Per questo è opportuno agire con oculatezza, garantendo la continuità dell’attività economica salvaguardando la salute dei cittadini.

 

GUARDANDO AVANTI

In ogni caso e da un punto di vista più generale, se le politiche attuate nel corso del 2020 hanno mirato ad evitare il collasso delle imprese in crisi di liquidità, adesso l’obiettivo di policy deve focalizzarsi sul rischio di insolvenza. La possibile insolvenza di molte imprese in questi mesi costituisce il principale problema per il sistema produttivo italiano e aumenta l’esposizione del sistema bancario a possibili trasmissioni dello shock dal segmento non finanziario, implicando possibili tensioni sia sui bilanci delle banche, sia sui rapporti banca-impresa. Non dobbiamo dimenticare la lezione imparata durante la precedente crisi finanziaria: è indispensabile che il sistema bancario sia resiliente affinché possa garantire la stabilità del nostro sistema economico.

In risposta a questo rischio, il Gruppo dei Trenta, di cui Mario Draghi è co-chair, a fine 2020 aveva sollecitato di intervenire lungo tre direzioni:

  • Incentivare il rafforzamento patrimoniale tramite la raccolta di capitali privati;

  • Favorire la rapidità e l’efficacia dei processi di ristrutturazione del debito per le imprese con prospettive di rilancio, in modo da garantire la continuità delle attività aziendali;
  • Migliorare le procedure per la gestione delle crisi d’impresa.

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