Ultimo Tango a ParigiDi Lorenzo Castellani

A Parigi, con il ballottaggio presidenziale, va in onda il nuovo bipolarismo che pervade le coscienze degli europei. Da un lato il trionfo della ragionevolezza globalista nella retorica asciutta di Macron, dall’altro la ribellione delle masse nazionalizzate dell’oratoria napoleonica della Le Pen autodefinitasi la candidata del popolo.

Si corona un bipolarismo semplificante e isterico che si è sviluppato negli ultimi dieci anni su temi come l’Europa, l’economia e l’immigrazione. Nella vulgata giornalistica, dove fioccano ovunque le interpretazioni a tenuta stagna, è popolo contro elite, ma si può forse governare senza una delle due? Non c’è, in ogni nuovo avventura politica, la volontà di nuove classi dirigenti di sostituire le vecchie in nome del popolo? Lo stesso Macron è un tecno-populista figlio di questo tempo per una serie di caratteristiche: ha fondato un partito taylor-made e affossato i socialisti, è totalmente post-ideologico, viene dal mondo della finanza, ha rotto con il vecchio mondo della politica politicante francese se non in termini parlamentari, almeno a livello di comunicazione e organizzazione. Sorpassando quel vecchio mondo se lo sta tirando dietro impersonando la diga all’anti-sistema.

Il film francese, però, potrebbe essere l’ultimo tango a Parigi per il vecchio sistema politico che oggi scambia il sostegno parlamentare appiattendosi dietro la nuova leadership di Macron. Paradossalmente, nell’era della polarizzazione politica sta emergendo un nuovo centrismo nelle democrazie europee basato sull’alleanza tra partiti tradizionali e spruzzate di novità (le grand Nazarenò). Nel breve periodo i partiti populisti-nazionalisti non vincono pur crescendo, ma se nel lungo (tre-quattro anni) l’economia non tornerà a crescere e l’immigrazione non verrà governata (cioè limitata) l’ordine potrebbe collassare definitivamente.

Il problema è che in tutta Europa la missione riformatrice è nelle mani della stessa classe politica che ci ha portato a questo punto, distruggendo i partiti tradizionali. Per questi rompere la cristallizzazione degli interessi e le rendite di posizione dal governo sarà molto complicato. La sfida dei vari Macron è proprio questa: utilizzare le vecchie classi dirigenti per riformare radicalmente il proprio paese. In Italia, Renzi ci ha provato ma si è fatto risucchiare.

Veniamo ora proprio al nostro Paese che, per certi aspetti, è forse il più simile alla Francia. Le elezioni transalpine confermano la divaricazione a destra tra “moderati” e nazionalisti, un film già molto sviluppato in Italia. Pensare ad una riunificazione del centrodestra oggi sembra una distopia. Da un lato, infatti, Salvini e Meloni hanno tifato a tutto spiano per l’amica Marine Le Pen, altri pezzi di centrodestra si sono pronunciati a favore di Fillon (e anche alla scelta di appoggiare Macron al secondo turno). D’altronde Berlusconi si è sempre dimostrato favorevole a collaborare con governi a maggioranza PD (da Monti al Nazareno) e, fino ad oggi, non ha mai escluso una convergenza al centro in un prossimo governo (basta leggere ciò che alcuni dei suoi uomini più fidati e influenti hanno risposto al Foglio nelle ultime settimane).

Gli apprezzamenti verso il Ministro Carlo Calenda sono una freccia verso quella possibile direzione così come l’agitare lo spauracchio dei grillini al governo. Certo il Cavaliere potrebbe sempre cercare di piegare la coalizione di centrodestra sulla sua personalità, ma lo scenario proporzionale non aiuta (scenario per cui Berlusconi ha sempre espresso apprezzamento negli ultimi mesi). Con una legge elettorale proporzionale, come mostrato da questa newsletter, è improbabile che un unico partito/lista possa conquistare la maggioranza parlamentare (serve il 40%). In questo scenario il rischio è quello di costruire un “listone di centrodestra”, capace anche di arrivare primo nelle urne, ma poi costretto venire a patti con il PD o con il Movimento 5 Stelle. In questa scelta, cioè nella formazione di possibili coppie governative PD-FI e M5S-LN, la coalizione potrebbe frantumarsi e dividersi a livello parlamentare. Vale la fatica per Berlusconi, ma soprattutto per Salvini e co, di contrattare le quote di candidature, mettere da parte ambizioni e pezzi di programma con il concreto rischio che tutto si sfasci il giorno dopo le elezioni?

La lezione francese vale, postuma, anche per Matteo Renzi e il Partito Democratico. Emanuel Macron è riuscito nell’impresa di liberarsi del Partito Socialista, mentre il fiorentino non c’è mai riuscito. Dopo anni di sofferenze con la minoranza (poi scissionista e contraria alla riforma costituzionale), di questioni noiose sulla parola “sinistra”, è ancora lì a lottare in spompatissime primarie con Emiliano e Orlando. Anche a sinistra la divergenza tra diverse anime è sempre più forte in America, in Europa e in Italia. Il riformismo centrista è in crisi ovunque e sopravvive, in Francia appunto, grazie ai nuovismi alla Macron mentre crolla dove resta tradizionale (in Francia, come in Austria e Spagna).

Renzi, però, oggi annaspa nell’anti-europeismo, nello scimmiottamento grillino, sembra già aver bruciato le sue chances di novità e cambiamento verso il Paese mentre il PD, in cui è rimasto imprigionato, accusa cali di consenso sempre più vistosi. Mentre più a sinistra si fanno strada forme più “rivoluzionarie”, anti-europeiste, collettiviste. Non c’è ancora un Bernie Sanders o un Melenchon, ma dalle nostre parti il più simile a questi è senza dubbio il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che si è già fatto il suo partito, e che il titolare di questa newsletter ha già suggerito di tenere d’occhio per la leadership di quell’area.

Considerato ciò a Roma si rischia di non avere nemmeno l’ultimo tango dei partiti tradizionali, con i grillini che arrivano diretti a Palazzo Chigi (nella prossima puntata spiegheremo come ciò potrebbe accadere).
Ci sono due strategie perseguibili per scongiurare questo avvenimento, se escludiamo la possibilità che in Parlamento sia varata una legge maggioritaria:

a) che Berlusconi neutralizzi Salvini attraverso una riunificazione del centrodestra che solo lui può condurre, escluda Matteo Le Pen dalla premiership con l’aiuto dei vari cespugli di centrodestra, rivitalizzi l’intero schieramento. Strategia difficile, come si è scritto, anche per volontà dello stesso Cavaliere;

b) far avanzare di un passo il ragionamento che Calenda e altri hanno iniziato a condurre pubblicamente (ipotesi che non entusiasma chi scrive, ma che è nella realtà dei fatti). Sostenere, in sostanza, una serie di punti programmatici di riforma del sistema Italia prima delle elezioni, non dopo (chiarezza e niente inciucio) per mettere in atto una convergenza al centro con tutte le forze politiche disposte a sostenerli. Preparare un nuovo centrismo, espressione detestabile, ma forzata dalla realtà. Trovare qualche forma di alleanza prima delle elezioni così da ripararsi dall’assalto di grillini e associati.

Il punto è semplice: arrivare separati e/o rincorrere le tematiche del Movimento 5 Stelle non ha senso, fa perdere voti ed energie, ma soprattuto distoglie l’attenzione dal disegnare un progetto di governo per il Paese favorendo le ammucchiate parlamentari. Una situazione che, nel lungo periodo, favorirà certamente le nuove forze politiche che si nutrono dell’immobilismo del sistema e discontento verso di esso.

Insomma, per dirla con Churchill, i partiti tradizionali possono scegliere tra il disonore o la guerra. Oppure avere entrambi. Possono provare ad unirsi prima delle elezioni (con qualche forma che lasci comunque diversità di liste) per resistere elettoralmente e riformare il Paese davvero senza le solite U-Turn (inversioni a U) alla prima protesta di pensionati, sindacati, tassisti e insegnanti. Oppure possono presentarsi divisi alle elezioni perché il proporzionale incentiva questo processo, formare una coalizione-ammucchiata in Parlamento e ricadere nel solito vizio della conservazione delle rendite e della dittatura del politicamente corretto su tematiche come l’immigrazione. In quel caso avranno scelto la guerra e ottenuto il disonore.

Dall’ultimo tango alla presa della Bastiglia sarà un attimo.

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