Un futuro senz’acqua?L'idea di Benedetta Annicchiarico

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Le piogge di questi giorni arrivano dopo oltre tre mesi in cui l’acqua è stata solo un miraggio. Nelle regioni del Nord non pioveva da più di tre mesi, registrando un deficit di pioggia che in alcune zone ha superato il 90%. Un record allarmante per un bacino idrico che produce il 40% del Pil nazionale e fornisce acqua a 16 milioni di cittadini.

In questi giorni in cui il costo delle materie prime è sulla bocca di tutti, l’assenza dell’acqua, commodity per eccellenza, passa in secondo piano. Infatti, se pandemia prima e guerra poi hanno frustrato le filiere di olio di girasole, grano, acciaio, energia, con significative e forse irreversibili ripercussioni sulle forniture per le imprese di mezzo mondo, la crisi idrica è ancora più globale. Per due ragioni: innanzitutto perché non è naif dire che l’acqua è il bene più prezioso che c’è, fondamentale per le funzioni umane quanto quelle sociali ed economiche. Del totale di acqua dolce consumata a livello mondiale infatti, il 70% è desinato all’attività agricola. Altri 330 miliardi di centimetri cubi sono estratti ogni anno per la produzione di energia (pulita e non). 

In secondo luogo perché questo bene primario, su cui si basa il funzionamento di una società sviluppata, è tra i più suscettibili alle conseguenze del riscaldamento globale. Il cambiamento dell’andamento metereologico si traduce nell’intensificazione della potenza e della frequenza di eventi estremi (cicloni, uragani, acquazzoni) nelle fasce tropicali e in lunghi periodi di siccità nelle altre aree del mondo. Mentre l’Australia del nord annega in piogge torrenziali, la California proibisce l’uso di acqua potabile per pulire i pavimenti. Intanto, la salinizzazione delle acque restringe il bacino di acqua dolce, solo il 3% di quella presente sulla Terra, da cui dipende l’agricoltura mondiale.

DALL’EMERGENZA ALLA PREVENZIONE

Venendo al dunque: la crisi idrica è un problema tanto più esistenziale quanto lo è la sua causa. L’aumento del prezzo del gas è legato a shock temporanei, destinati a placarsi nel tempo. La (in)disponibilità dell’acqua è provocata da un cambiamento epocale e permanente, destinato, nonostante tutti i nostri sforzi di mitigazione, a condizionare l’attività umana per millenni a venire. 

È chiaro quindi che un pomeriggio di pioggia, o dieci di seguito, non sono la soluzione né lo scongiuro di una siccità oramai ciclica ed endemica. La gestione delle risorse idriche, a livello mondiale quanto nazionale, diventerà sempre più complicata e dispendiosa. Assicurarne il rifornimento a una popolazione in crescita, e quindi a industrie primarie in continua espansione, richiede il passaggio dalla cultura dell’emergenza – troppo radicata in Italia – a quella della prevenzione. Evidentemente l’ultima grande crisi idrica del 2017, record battuto solo dall’anno 1800 (per ora), non ci ha insegnato molto.

IN ITALIA SERVE UNA POLITICA DELLE ACQUE

In Italia, la Strategia nazionale messa in atto due anni fa dal Mipaaf, con uno stanziamento da oltre mezzo miliardo di euro, sembra non essere stata sufficiente. Intanto, il Pnrr ne ha assegnati altri tre per l’investimento nelle infrastrutture idriche e la riduzione delle perdite nella distribuzione dell’acqua, che al momento rappresentano il 39% dell’acqua totale che scorre nella rete nazionale. All’atto pratico serve una rete di invasi a basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, come anche il recupero di strutture già presenti. Che l’esperienza pandemica ci abbia davvero cambiato in meglio, inculcandoci una volta per tutte l’importanza della prevenzione?

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