Certificare, non sostituire: la strada per la sostenibilità dell’olio di palmaDI MARIO BENTIVENGA

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Il settore AFOLU (Agriculture, Forestry, Other Land Uses) è responsabile del 22% delle emissioni globali. Un dato che raggiunge il 42% se si considerano le attività antropogeniche – tra cui, per esempio, il trasporto – che sono necessarie a portare il cibo in tavola.

Sono questi i dati che hanno spinto l’Istituto per la Resilienza Climatica (ICR), uno dei tre istituti che compongono il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), ad analizzare l’impatto che la produzione degli oli vegetali ha sul settore. I risultati di questa ricerca sono stati esposti dalla dottoressa Maria Vincenza Chiriacò – ricercatrice del CMCC – nel webinar “Gli oli vegetali e il loro contributo al cambiamento climatico”.

Nel 2023, la produzione di oli vegetali globale ha raggiunto le 200 milioni di tonnellate. Il 60% di questa produzione è composta da olio di palma e da olio di soia, mentre il resto viene da girasole e colza. L’olio di palma è l’olio vegetale più prodotto al mondo, grazie in parte anche alla sua efficienza produttiva (solo il 10% dei terreni usati per produrre oli vegetali sono occupati da piantagioni di palma), e la sua produzione emette molto meno CO2 rispetto ai suoi “competitors”. Nonostante queste virtù, però, esso è stato ferocemente accusato di essere una delle cause principali della deforestazione che avvenne in Indonesia e Malesia nel periodo tra il 2009 e il 2015.

Come ha risposto la filiera agroalimentare? Se, da una parte, alcune aziende hanno optato per sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali, altre hanno cercato di rendere più sostenibile la filiera, attraverso un sistema di certificazioni, tra cui si annoverano le prestigiose certificazioni RSPO.

Lo studio condotto dal CMCC ha portato alla luce come, tra le due risposte, la sostituzione dell’olio di palma sia il modello meno sostenibile, per una serie di fattori:

  1. L’uso di più terreno agricolo rispetto alla certificazione, con stime che indicano un aumento di 51-70 Mega ettari a rischio di deforestazione per produrre gli oli vegetali sostitutivi alla palma.
  2. Un maggiore rischio per la sicurezza alimentare, dato che un elevato numero di cittadini asiatici fanno uso dell’olio di palma nella loro cucina.
  3. Un forte aumento delle emissioni antropogeniche, rilevato dal CMCC tramite un life-cycle assessment, dimostra che a lungo termine la sostituzione dell’olio di palma è più insostenibile rispetto alla sua certificazione.

In conclusione, la certificazione è l’unica strada per la vera sostenibilità della filiera. Un olio di palma certificato, cioè un olio di palma deforestation-free, porterebbe a una riduzione del 92% delle emissioni della filiera, rendendola una risposta molto più efficiente piuttosto che la totale sostituzione di esso con altri olii vegetali.

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Leggi Policy anti-deforestazione: olio di palma modello sostenibile>>>

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