[ITA] Etichettatura alimentare: Intervista a Andrea Poli

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Andrea Poli è laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Farmacologia clinica presso l’Università di Milano, ha contribuito allo sviluppo della misurazione in vivo dello spessore della parete arteriosa, e allo sviluppo del concetto dell’IMT. I suoi principali interessi di ricerca si sono poi spostati verso la relazione tra alimentazione e prevenzione delle malattie degenerative. Dal 2014 è Presidente di NFI-Nutrition Foundation of Italy; è anche titolare di un contratto di insegnamento presso l’Università degli Studi di Brescia.

Che cosa vuol dire “informazione trasparente” quando si parla di alimentazione, e quale impatto può avere sulla salute dei consumatori?

Fornire un’informazione trasparente significa trasmettere, in modo comprensibile per il consumatore medio, le evidenze più consolidate che correlano il consumo di singoli alimenti, o meglio di pattern alimentari, con la salute. Ovviamente la trasparenza dell’informazione esclude sia la presenza di una qualsiasi pressione aziendale nella definizione dei pattern alimentari da promuovere, ma al tempo stesso anche di posizioni antindustriali di natura ideologica, potenzialmente altrettanto pericolose. L’informazione dovrebbe essere per quanto possibile personalizzabile, identificando alcune caratteristiche nelle quali il consumatore può riconoscersi, che possono essere rilevanti per definire il pattern alimentare ottimale (per esempio la limitazione del sodio e quindi del sale negli ipertesi).

L’Unione Europea conta di implementare entro il 2023 un’etichettatura nutrizionale armonizzata. Quali sono i criteri per un’etichetta che porti a scelte alimentari consapevoli e salutari?

L’etichettatura nutrizionale armonizzata dovrebbe essere di tipo informativo, e fornire quindi indicazioni che consentano alle persone di scegliere, e soprattutto di combinare in maniera appropriata gli alimenti, non necessariamente su base giornaliera (meglio su base settimanale) per perseguire degli obiettivi di salute. Una simile etichetta può essere naturalmente di utilità se il consumatore possiede già delle informazioni sufficientemente strutturate di carattere nutrizionale: l’etichettatura quindi non può prescindere, per essere di utilità, dalla formazione del pubblico su temi di nutrizione e salute.

I bisogni dietetici possono variare molto a seconda dell’individuo, ma non tutti hanno accesso a consigli personalizzati. In che modo può un’etichetta informare un consumatore senza dettarne scelte che potrebbero risultare controproducenti?

Questo rappresenta ormai un criterio base, della cui rilevanza abbiamo iniziato a renderci conto solo in tempi abbastanza recenti. L’idea che esista un pattern alimentare che “va bene per tutti” è superata, e potenzialmente fonte di criticità. Per ora l’aspetto più rilevante è che il consumatore sia informato sulla composizione base degli alimenti, anche se non consulta (come dovrebbe) l’etichettatura nutrizionale, per poter identificare gli specifici nutrienti di cui può avere bisogno, o di cui viceversa deve limitare il consumo. In un futuro auspicabilmente non troppo remoto è ipotizzabile che, utilizzando per esempio sistemi più raffinati, che dialoghino con lo smartphone di ciascuno di noi, anche informazioni su aspetti più specifici (per esempio allergie, o intolleranze) possono essere fatte pervenire in modo chiaro al consumatore interessato.

Secondo alcune etichette già in uso, prodotti chiave dell’alimentazione mediterranea come olio d’oliva o formaggi stagionati sono da evitare, mentre alcuni nutrizionisti e dietologi ne raccomandano il consumo. Come fare per riconciliare tradizioni gastronomiche, salute, e opinioni scientifiche?

È estremamente importante che le informazioni che vengono veicolate al pubblico siano aggiornate. I dati più recenti hanno infatti ridimensionato il ruolo negativo dei grassi saturi presenti per esempio nei formaggi: mostrando al contrario, nei grandi studi epidemiologici, che un consumo adeguato di questi alimenti ha effetti di salute spesso favorevoli. In modo del tutto analogo, ma in questo caso ormai accettato da tutta la comunità nutrizionale, l’olio d’oliva, specie se extravergine, nonostante il contenuto calorico elevato e nonostante sia costituito di fatto esclusivamente da grassi, può essere integrato in maniera utile praticamente in qualunque pattern alimentare. Altri elementi della nostra tradizione alimentare hanno effetti di salute meno favorevoli; in questo caso il consumatore deve essere informato sul fatto che possono essere utilizzati occasionalmente, ma senza eccedere. La tradizione alimentare, di conseguenza, non è di per sé ne’ un fattore di promozione e nemmeno di esclusione di un alimento: è solamente la ricerca nutrizionale, condotta in modo rigoroso, che può rispondere alle domande sulla relazione tra alimenti e salute.

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