L’Agrifood senza Draghi: la minaccia del NutriscoreL'IDEA DI ANTONIO PICASSO

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Tra i tanti tavoli da gioco lasciati scoperti in Europa a seguito della crisi del governo Draghi, c’è quello del Nutriscore, il sistema di etichettatura a semaforo, di proprietà del governo francese, oggi presente solo in alcuni Paesi membri Ue (Belgio, appunto Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi), ma potrebbe diventare obbligatorio per tutta l’Ue. L’Italia lo contrasta, ma per evitarlo sarebbe stato utile avere Supermario, piuttosto che giocare le solite carte del mangiar bene nostrano.  

LINEA SOVRANISTA

Al Nutriscore l’Italia ha fatto da sempre opposizione. Tuttavia, fino a settembre dello scorso anno, la sua linea veniva osteggiata in Europa in quanto dal forte sapore campanilista-sovranista. Al nostro Paese si attribuiva l’ostinata miopia di difendere la Dieta mediterranea, senza osservarne i punti deboli in termini di sostenibilità alimentare.

Soprassediamo sulla contraddizione per cui oggi torna comodo picchiare sulla cucina italiana e domani non saper fare a meno di una nostra pizza.

I rapporti di forza erano comunque in nostro svantaggio. Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, i Big five contro di noi. 

Di fronte a questo pacchetto di mischia, non basta dire che in Italia si mangia meglio. Il nostro gioco di difesa aveva i giorni contati.

CON SUPERMARIO

A settembre 2021 appunto, Draghi affronta il problema da un’altra prospettiva. Forte della sua autorevolezza personale, si spende in Commissione europea, spiegando che il Nutriscore limita la libertà di scelta del consumatore e soprattutto non dispone della necessaria solidità scientifica per farne lo strumento più adeguato di educazione alimentare made in Eu. 

L’iter quindi non si blocca, ma si rallenta. Va detto che, per una serie di note emergenze subentrate, il tema passa in secondo piano.

DOPO SUPERMARIO?

Ora però è lecito tornare a chiedersi il futuro delle iniziative in sede Ue su come trasmettere ai cittadini le basi per un’alimentazione sostenibile. Le cosiddette FoP policy, front of pack policy, prevedono l’introduzione di una serie di etichettature che informano il consumatoredella composizione degli alimenti e delle ripercussioni sulla propria dieta.

Senza una voce carismatica come quella dell’ex premier – e soprattutto alla luce dei sondaggi che vedono il centrodestra vincente alle elezioni di settembre – l’Italia potrebbe tornare a opporsi a Nutriscore su posizioni di difesa intransigente, ma con il rischio di subire un arrocco

In un’Europa per sua natura antisovranista, le posizioni dogmatiche “made in…” vengono osteggiate in maniera altrettanto dogmatica. Quindi se Roma si limitasse a difendere – in parte giustamente – la Dieta mediterranea come il suo “particulare”, Bruxelles replicherebbe che non siamo capaci di far altro che coltivare il nostro orticello. 

IL NUTRISCORE È UN RISCHIO PER L’ECONOMIA REALE

Al netto di tutto questo, il rischio del Nutriscore è economico e sociale. In quanto se passa, tutti i prodotti ultraprocessati rischiano di essere bollinati e quindi subire delle ripercussioni sulle vendite. Questo comporterebbe una domanda al ribasso per le imprese, di tutte le dimensioni, che si vedrebbero costrette a rivedere i propri piani di produzione e quindi ammortare la propria forza lavoro. No, per un sistema industriale in cui la filiera agroalimentare vale negli ultimi anni, in termini di valore al consumo, circa 120 miliardi di euro in Italia, quasi sette punti di Pil (dati Ismea), il Nutriscore non è una faccenda di nicchia. I corrispettivi settori francese e spagnolo, per esempio, non viaggiano su misure inferiori.

E qui subentra la carta non politica. È possibile infatti un’alleanza transnazionale tra forze produttive e sociali che, senza né soluzioni di comodo né capri espiatori, faccia capire all’Ue quanto il Nutriscore sia una mossa tutt’altro che sostenibile?

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