Meno Regole, Più CiboL'IDEA DI LUCA BERTOLETTI

Sostenibilità, innovazione e commercio possono andare di pari passo anche quando si parla di cibo e alimentazione. Tuttavia devono essere lasciate libere di svilupparsi senza quell’eccesso di regole vigenti nell’UE e in Italia. Per puntare sia sulla quantità sia sulla qualità bisogna rimuovere gli ostacoli normativi inutili. 

Negli ultimi due decenni, l’Europa ha deciso di intraprendere una strada tutta sua nelle politiche agricole. Mentre Giappone, Nord e Sud America sono passati a un’agricoltura moderna e sempre più tecnologica, l’Europa ha fatto un passo indietro e continua a vietare sempre di più i progressi e i metodi scientificamente approvati.

PERCHÉ È IMPORTANTE 

L’Italia, la Francia e la Spagna hanno continuato a bloccare a livello continentale qualunque sviluppo agricolo di tipo industriale, privilegiando invece l’uso dei sussidi pubblici. Questo ha ostacolato l’innovazione e la produttività, ma anche la sostenibilità. Quella vera.

FRECCIATE INTERNAZIONALI   

Nei recenti colloqui commerciali, i principali diplomatici americani hanno ripetutamente considerato il quadro normativo dell’UE come anacronistico chiedendo “la rimozione dei numerosi vincoli all’adozione di nuovi approcci e tecnologie innovative. Comprese le restrizioni normative eccessivamente onerose e inutili, e la volontà di dire la verità ai nostri cittadini sulla tecnologia, la produttività e la sicurezza”.

Queste le parole del segretario all’Agricoltura statunitense Sonny Perdue in un editoriale pubblicato su Euractiv a febbraio.

In modo un po’ meno diplomatico, l’ambasciatore statunitense nel Regno Unito, Woody Wilson, ha coniato l’espressione “Museum of Agriculture” per descrivere l’approccio UE al settore primario in un editoriale per The Telegraph pubblicato a marzo.

Sia Perdue che Wilson sostengono che le restrizioni dell’Unione Europea sulle moderne tecnologie agricole non sono sostenibili e limitano fortemente i futuri accordi commerciali.

Giudicare se sono corrette o meno non è legato all’opinione personale riguardo gli Stati Uniti, ma a quanto si intende perseguire a oltranza la stabilità dei prezzi dei prodotti alimentari. E questo sta solo a noi deciderlo.

NON C’È CHIMICA   

Come dimostra la situazione africana, e recentemente anche quella della Sardegna, disastri ambientali come quelli provocati dalle locuste possono essere devastanti per la sicurezza alimentare e la produzione del cibo. La scienza ci permette di rilevare che la possibilità di subire un evento negativo è sempre più probabile, rendendo necessario utilizzare nuove tecniche tra cui nuovi insetticidi. Allo stesso modo, per evitare funghi e micotossine mortali, usiamo i fungicidi.

Dal punto di vista politico, i prodotti chimici per la protezione delle colture sono diventati sempre meno popolari, soprattutto dopo che un numero crescente di associazioni ambientaliste ha iniziato a fare pressioni per vietarli. In questo modo le posizioni anti-innovazione hanno conquistato tutto lo spettro politico, da destra e sinistra.

Così sono emerse solo le mezze verità se non vere e proprie fake news. E poco conta se le autorità nazionali e internazionali hanno dichiarato che questi prodotti sono sicuri. Nel contesto della moderna politica post-verità, conta molto poco. Ciò che sembra importante è che i moderni strumenti di difesa delle coltivazioni sono etichettati spesso come poco sostenibili.

SOSTENIBILITÀ E COMMERCIO (E CIBO)

Il concetto di sostenibilità, poi, è stato completamente travisato e utilizzato come scusa per corroborare le ideologie predominanti sull’agricoltura.

La sostenibilità dovrebbe basarsi su un’agricoltura moderna e innovativa che risponda alle esigenze dell’ambiente, della sicurezza alimentare e dei prezzi competitivi per i consumatori.

Chiaramente il cambiamento climatico modificherà il modo in cui produciamo cibo. Le Malattie rare ci obbligheranno ad adattare l’offerta alimentare ai consumatori. Ma il commercio può essere un driver di innovazione e competitività che favorisce la tecnologia e diminuisce i costi di produzione.

L’esempio è davanti a noi. Gli agricoltori americani, brasiliani, giapponesi, israeliani sono in grado di produrre un surplus di cibo tale da poter praticare prezzi più bassi alle esportazioni. Il cosiddetto “made in Italy” (ma allo stesso modo il “made in Europe”) si poggia invece su prezzi di produzione talmente elevati che costringe i prodotti italiani ad essere considerati solamente una nicchia. Questo è frutto di regole e norme consolidate, tra cui i numerosi sussidi, che impediscono il pieno sviluppo delle pratiche innovative e ostacolano lo scambio commerciale.

Senza dimenticarsi della qualità, l’Italia dovrebbe farsi promotrice di una riforma delle regole agricole post COVID-19 a livello europeo. Dovrebbe essere un Paese all’avanguardia nell’innovazione agricola, non farsi bacchettare dagli Stati Uniti. Nell’interesse dei consumatori e dei produttori, dovremmo essere leader nelle nuove tecniche di produzione alimentare. Con meno regole e più commercio, potremmo esserlo.

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