Dieta e stile di vitaDI MICHELE CARRUBA

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Che la dieta fosse un fattore determinante per la salute lo si sapeva già nel quinto secolo a.C., ma l’accezione del termine “dieta” aveva un significato diverso da quello contemporaneo, tanto che Ippocrate lo descriveva come “stile di vita”, cioè non semplicisticamente quanto e cosa mangiare, ma anche in quali condizioni ambientali farlo e in funzione di quanto ci si muova e delle diverse stagioni.
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Oggi, invece e purtroppo, per la maggior parte delle persone dieta significa un regime alimentare da adottare quando si vuole perdere peso. La ricerca scientifica ha prodotto innumerevoli studi che hanno permesso di capire quali siano i reali bisogni di cibi, intesi come sostanze nutritive, per fornire all’organismo tutto quello che serve al suo funzionamento. La scienza ha anche potuto dimostrare come errori qualitativi o quantitativi nell’alimentazione siano in grado di causare vere e proprie malattie e come diverse patologie possano essere curate e/o soprattutto prevenute attraverso specifiche terapie dietetiche.
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Tutto ciò ha portato a concepire in medicina delle figure professionali che, oltre agli studi medici, avessero un curriculum formativo di specializzazione in “scienza dell’alimentazione” (altri quattro anni di studi dopo la laurea in medicina e chirurgia) cui demandare la prevenzione e la cura delle malattie legate a cattiva alimentazione, tra cui possiamo includere obesità, diabete, malattie cardiovascolari e ischemiche, tumori, osteoporosi, aterosclerosi, anemie, nefropatie ecc…
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Con il dilagare di queste patologie – si pensi che solo il sovrappeso e l’obesità affliggono più del 50% della popolazione – la richiesta di cura, intesa soprattutto come dimagrimento, è talmente aumentata che, anche a causa della relativa scarsità numerica delle specifiche figure professionali di cui sopra, la “dietologia” è sfuggita dall’ambito scientifico-medico per essere gestita da “falsi profeti”, imbonitori o comunque da incompetenti. Basti rilevare quante trasmissioni televisive o radiofoniche e quanti giornali e riviste divulgative forniscono indicazioni dietetiche ritenute congrue per tutti gli ascoltatori o tutti i lettori senza averli potuti né vedere né tantomeno interrogare o visitare.
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Le librerie sono piene di volumi con la dieta del dottor Tizio o del dottor Caio a dimostrazione che alcuni imbonitori si nascondano dietro il dito del titolo di dottore. Un vero dottore, però, dovrebbe sapere che non può esistere una dieta uguale per tutti, ogni individuo è diverso dall’altro non solo per sesso, età e attività fisica o sportiva, ma anche per patrimonio genetico, per condizioni psicologiche e socioeconomiche, per cultura e tradizioni, ma soprattutto per condizioni fisiopatologiche. Pertanto, per poter suggerire una dieta personalizzata alle esigenze specifiche di chi la richiede, occorre innanzitutto una anamnesi che comprenda la storia del paziente dal suo concepimento e che tenga in conto le patologie pregresse e la loro familiarità. Se, inoltre, si desidera modificare la sua alimentazione, dobbiamo conoscere i suoi comportamenti e le motivazioni che sottendono a quei comportamenti, se la persona ha autostima e come vede e giudica il suo aspetto fisico – l’immagine corporea non è quella che riflette lo specchio ma quella che l’individuo ha sviluppato nel suo cervello in seguito alle sue esperienze e situazioni della sua vita.
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Se, quindi, vogliamo correggere un’alimentazione sbagliata dobbiamo sapere come e quando l’individuo sbaglia e, per saperlo, occorre un’anamnesi alimentare, che di solito si realizza tramite un diario alimentare di una o più settimane, dal quale il medico possa evincere se la dieta è bilanciata nei vari macronutrienti (carboidrati, lipidi, proteine), se sono presenti e sufficienti gli apporti dei vari sali minerali e delle sostanze vitaminiche e/o antiossidanti, se l’idratazione è rispettata nell’arco della giornata e, infine, se le calorie ingerite sono equivalenti a quelle spese per l’attività metabolica e l’esercizio fisico o sportivo.
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Il comportamento alimentare varia da individuo a individuo non solo in termini qualitativi e quantitativi, ma anche in relazione a specifiche situazioni psicosociali: c’è chi mangia continuamente durante la giornata, chi mangia solo una o due volte nell’arco delle 24 ore, chi svuota il frigorifero durante la notte e la mattina successiva se ne accorge solo perché è vuoto, chi si abbuffa senza riuscire a fermarsi per mancanza di segnali di sazietà, chi ha fame sempre e chi non ne ha abbastanza quando dovrebbe. Qualsiasi consiglio dietetico fornito senza queste necessarie informazioni non solo è sbagliato, ma può essere addirittura pericoloso.
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Diverso è dare consigli per una corretta alimentazione a persone sane o educare i giovani a un’alimentazione equilibrata e variata. Anche in questo caso la scienza si è presa la briga di condurre sperimentazioni molto lunghe e difficili in quanto dovevano riguardare intere popolazioni per periodi di diversi anni. Da questi studi, condotti in diversi Paesi del mondo, misurando i rapporti esistenti tra abitudini alimentari e prevalenza di svariate patologie è stato possibile indicare le caratteristiche di una dieta, o meglio di uno stile di vita associato a una maggiore longevità e a una minore morbilità e mortalità. Tale dieta corrisponde a quella che è stata denominata “dieta mediterranea”, che è stata riconosciuta internazionalmente come la più salubre e insignita, anche per questo, come patrimonio immateriale dell’umanità.
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È nata nel dopoguerra per rispondere a un quesito degli americani che, interessati a conoscere perché gli italiani avessero un’aspettativa di vita maggiore della loro, inviarono in Italia alcuni scienziati – tra cui Ancel Keys che, insieme ad altri italiani, tra cui Flaminio Fidanza e Mario Mancini, sono considerati i padri della “dieta mediterranea”. Grazie alle loro ricerche pubblicate nel famoso “Seven country study” sono state individuate le caratteristiche dell’alimentazione associate a una minore incidenza di malattie cardiovascolari e quindi di mortalità. Molte migliaia di altri studi hanno confermato che le caratteristiche alimentari legate a una maggiore longevità sono: moderato consumo di uova, formaggi, carni rosse, insaccati e grassi animali; più abbondante consumo di pesce, cereali integrali, ortaggi, legumi, olio extravergine di oliva, frutta fresca e frutta secca.
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Tramandata da madre in figlia per diverse generazioni, oggi gli italiani stanno perdendo l’adesione alle caratteristiche della “dieta mediterranea” a causa di tanti fattori tra cui la pubblicità, nata per indurre comportamenti alimentari non legati al benessere ma all’interesse economico di chi li produce, la confusione, legata a un eccesso di messaggi irrazionali sponsorizzati e divulgati dai mass media per fare audience, la mancanza di una cultura nutrizionale di chi dovrebbe educare i giovani e soprattutto la latitanza delle Istituzioni ad adottare politiche atte a modificare tale situazione.
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In definitiva, parlare di dieta oggi non significa semplicisticamente classificare i cibi in buoni o cattivi, ma giudicare la bontà e la correttezza dei comportamenti alimentari fatti non solo da scelte qualitative ma anche da porzioni più o meno abbondanti, da frequenze di assunzione in ciascun pasto, nell’ambito giornaliero o settimanale e dalla varietà dei cibi assunti rispettando l’equilibrio tra i vari nutrienti. Può sembrare complicato ma basta imparare da chi sa ed è anche capace di insegnare.
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Image credits: courtesy of Bigrock >>>

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