Olio di palma, disinformazione e giornalisti.Abbracciare la complessità per un domani più sostenibile.

L’olio di palma viene accusato di essere il male del mondo. A ben vedere, non esiste ingrediente più sostenibile di questo quando si parla di efficienza nella produzione e nel consumo di spazio agricolo disponibile. Il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato ieri un articolo dal titolo “L’olio di palma nel mirino dell’UE per i biocarburanti: L’ira di Indonesia e Malesia”. All’interno dello stesso è però presente una dichiarazione basata su un dato errato.

Il dato

All’interno dell’articolo si legge che “Nel solo arcipelago indonesiano – di gran lunga il numero uno tra i produttori del contestato olio – vanno in fumo una media di un milione di ettari l’anno”. Se osserviamo quanto rilevato dal Global Forest Watch, dal 2002 la media aritmetica di ettari di foreste perse in Indonesia è della metà (precisamente 557 mila). E non tutte, anzi, solo una parte minore sono imputabili alle piantagioni di palme da olio. 

Inoltre, dal 2017, la perdita delle foreste in Indonesia si è dimezzata ulteriormente (una media di 350 mila ettari all’anno). Questo avviene anche grazie a diverse politiche messe in campo dal governo. Esso ha infatti imposto il divieto di creare nuove concessioni per le piantagioni di palme (ovvero che nessun ettaro può più essere sottratto alla foresta).

In generale, l’olio di palma è responsabile del 2.3% della deforestazione globale come indicato da EPOA-European palm Oil Alliance. Addirittura, lo IUCN Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, indica l’olio di palma responsabile solo per lo 0,5%. 

La perdita delle foreste nel processo di sviluppo di un paese è normale. La stessa Europa ne ha perse per milioni di ettari negli anni di maggiore crescita. È chiaramente fondamentale essere in grado di controllare il fenomeno per garantire un futuro sostenibile. Piuttosto che boicottare una coltivazione e/o una materia prima, soprattutto quando è molto più competitiva dei concorrenti europei, è ragionevole operare perché si proceda verso una produzione più sostenibile.

Questa campagna di boicottaggio delle palme da olio ha, come un boomerang, incentivato la filiera dell’olio di palma ad investire nella sostenibilità dotandosi di molte certificazioni. Certamente si può discutere della validità di alcune certificazioni ma non si può non riconoscere lo sforzo fatto per lo sviluppo sostenibile, assente in altri oli. Perché criticare e pretendere dall’industria dell’olio di palma quando altri oli vegetali hanno schemi di certificazioni molto più arretrati?

olio di palma

Gli incendi

Se analizziamo il problema degli incendi, possiamo osservare che solo una piccolissima parte può essere collegata alle piantagioni di olio di palma ed il loro allargamento. 

Inoltre, i fattori che causano gli incendi in Indonesia sono molteplici. Per esempio, l’aumento delle temperature durante la stagione secca accompagnato da fenomeni atmosferici notti ha aumentato la gravità degli incendi. Il 2019, per esempio esempio, è stato l’anno peggiore dopo il 2015 in questo senso. Si noti infatti che i picchi si registrano durante i mesi più secchi, in luglio, agosto e settembre. 

Secondo i dati ufficiali disponibili, divisi per provincia, la media di ettari bruciati nel paese dal 2015 al 2020 è di circa 888 mila ettari.

Secondo la Global Forest Watch, solo il 7% di tutte le segnalazioni riportate nei precedenti 12 mesi (febbraio 2021) hanno avuto luogo nelle concessioni per la coltivazione di Olio di Palma

L’articolo di Repubblica

L’articolo di Repubblica ha utilizzato – furbescamente? – dati e materiale grafico dello IUCN (Centro di analisi e ricerca internazionale sui tema della conservazione e della sostenibilità), omettendo che la medesima organizzazione opera da anni per promuovere la produzione di olio di palma sostenibile perché ritenuto migliore rispetto a scelte alternative.

Così, come si è omesso che anche le ONG più influenti, GreenPeace, WWF, Solidaridad, e tante altre, hanno riconosciuto che non ci sono alternative alle piantagioni di olio di palma e che quindi occorre impegnarsi per promuovere una filiera sempre più sostenibile.  

Soltanto Legambiente in Italia, continua la sua campagna di lobby contro l’impiego dell’olio di palma nei biocarburanti. È una campagna ideologica che si accompagna agli interessi economici di lobby come Transport Europe il cui primo obiettivo è quello di promuovere fonti alternative ai biocarburanti. Olio di palma e soia sono i primi bersagli, perché i più competitivi, ma anche i meno rappresentati in Europa, in quanto non sono un prodotto locale. 

Sostenibilità e pragmatismo

Condividiamo la scelta dell’Europa di investire in fonti rinnovabili più avanzate e di abbandonare progressivamente gli oli vegetali, ma questo va fatto in modo equo, razionale, e soprattutto senza discriminare colture non europee. Il protezionismo non paga mai. L’olio di palma o di soia che non entreranno in Europa finirà venduto ad altri paesi, Cina ed India per esempio, con standard di sostenibilità più bassi o inesistenti. Le filiere non saranno stimolate a perseguire maggiore sostenibilità, e il sogno europeo dell’energia pulita svanirà come neve al sole.

Ugualmente, dovremmo chiederci con ragione, come l’Europa pensa di supplire oggi al fabbisogno energetico senza gli oli vegetali. Come pensa che, eventualmente, le palme da olio verranno rimpiazzate dai paesi produttori. Domande a cui le lobby ostili alla grande competitività e sostenibilità della palma da olio non vogliono rispondere. Non hanno dati né fatti, così come l’articolo di Repubblica.  

Un’informazione corretta

La difficoltà di una corretta ed imparziale informazione sembra colpire anche i giornalisti più informati. Purtroppo, le considerazioni da fare sul fenomeno dell’olio di palma sono molte, rendendo molto complesso capire il quadro completo. Come per ogni cosa, diventa necessario adottare uno sguardo attento nell’approfondire le contorte tematiche della sostenibilità.

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