Sì all’Olio di Palma Sostenibile: L’Esempio della SvizzeraDI ANTONIO PICASSO E BENEDETTA ANNICCHIARICO

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L’approvazione da parte del Consiglio federale svizzero dell’ordinanza che permette la riduzione dei dazi doganali sull’olio di palma sostenibile importato dall’Indonesia, potrebbe essere il primo passo per un’inversione di rotta dalla filosofia – strumentale e ideologizzata – del marketing “palm oil free” a quella di una prassi di informazione completa e trasparente.

Il referendum

L’ok del Governo di Berna suggella quanto stabilito la primavera scorsa, da un referendum, da cui era emerso che il sostegno del 51% dei cittadini svizzeri all’accordo tra i Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Aels) e l’Indonesia, che prevede appunto la riduzione dei dazi all’import indonesiano, a sua volta costituito dal 40% da prodotti agricoli. Tra questi figura ovviamente l’olio di palma, di cui la tigre asiatica è il maggiore produttore mondiale e che in anni recenti è stato al centro di dibattito pubblico e di controversie riguardo all’impatto ambientale della sua coltivazione. Il governo svizzero aveva rassicurato che la riduzione dei dazi sarebbe stata applicata solo su oli certificati sostenibili secondo un’ordinanza emessa già a dicembre 2020 e che poi è stata approvata a metà agosto. A onore del vero, la Svizzera già da tempo importa solo olio di palma sostenibile. Con l’entrata in vigore dell’accordo e, contestualmente, dell’ordinanza, si ha una normalizzazione di questa pratica. In futuro, gli importatori elvetici potranno importare olio di palma indonesiano con una riduzione dei prezzi alla dogana del 20-40%, se segnalato come sostenibile da uno dei quattro sistemi di certificazione ad oggi riconosciuti dalla Svizzera. Alla base dei quali vigono i criteri di zero deforestazione, tutela della biodiversità, impatto ambientale marginale e rispetto dei diritti dei lavoratori e delle comunità locali.

Oltre i pregiudizi

La posizione del governo svizzero si basa su valutazioni scientifiche che promuovono la coltivazione sostenibile dell’olio di palma come meno ambientalmente dannosa di quella degli altri oli vegetali. A parità di estensione, le coltivazioni di palme da olio rendono fino a dieci volte il prodotto rispetto ad altre piantagioni oleaginose: nonostante l’olio di palma sia il più usato al mondo (35% della produzione globale, con un distacco di sette punti percentuali dall’olio di soia), la sua produzione necessita di solo il dieci percento delle coltivazioni oleaginose totali. Questo fa sì che un aumento del consumo e della domanda di olio di palma sostenibile non risulti in un impatto ambientale proporzionalmente dannoso: il tasso di deforestazione associato all’olio di palma è infatti calato drasticamente dai primi anni del decennio, nonostante la produzione mondiale sia aumentata di quasi il 30% nello stesso periodo.

Ci sono però altri due elementi in questa notizia già di per sé positiva. Primo: con la sua scelta, l’opinione pubblica d’oltrefrontiera sconfessa tutti i pregiudizi su un elettorato occidentale ormai schiavo delle campagne ideologiche pro ambiente e sorda ai messaggi di realismo su cosa e chi sia davvero sostenibile. D’altra parte, il referendum in Svizzera è una prassi più che rodata ed è quindi immaginabile che l’elettore sia più preparato quando si reca al seggio di quanto accada altrove. Il secondo elemento – decisamente meno filosofico – di cui tener conto è che il caso crea un precedente. Sia politico in ambito europeo, sia sul mercato. 

Al netto che la Svizzera non è Unione europea, ma ancor più che l’assetto istituzionale italiano è lontano anni luce da quello dei nostri vicini di casa, l’iniziativa del Governo di Berna andrebbe presa come esempio di prassi nella promozione di una filiera produttiva, di peso internazionale, che – con trasparenza e innovazione – è impegnata da anni nel promuovere progettualità che siano la sintesi di una sostenibilità ambientale, sociale e, al tempo stesso, economica. Progettualità virtuose, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Un benchmark comportamentale quindi, poniamo l’esempio per una regione come la Lombardia – ma potremmo dire lo stesso di altri territori in Francia, Germania o altrove in Europa – cui basterebbe un’ordinanza regionale per dare l’accesso, nelle sue mense pubbliche quanto anche nelle realtà produttive locali, a prodotti realizzati esclusivamente con olio di palma garantito.

Dal “Palm Oil Free” all’informazione libera

C’è infine il mercato, oggi inflazionato di prodotti free: “paper free”, “plastic free”, “palm oil free” e via così. Etichettature decisamente fuorvianti, in quanto non dimostrano l’effettiva sostenibilità dell’acquisto effettuato dal consumatore, rispetto ad altri prodotti non free. Campagne di comunicazione e marketing drogate dall’obiettivo di aumentare le vendite, senza però fornire un’adeguata informazione all’acquirente. Il tema è complesso e ancora oggetto di dibattito a Bruxelles. Tuttavia, ci piace pensare che sia l’inizio della fine. Un percorso ancora molto molto lungo, che porti però ad archiviare questo approccio manicheo al commercio, per cui da una parte ci sono i prodotti sani e buoni, dall’altra quelli che le nostre mamme chiamavano “schifezze”.

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