La stretta dell’Europa sui prodotti legati alla deforestazione è problematicadi Benedetta Annicchiarico e Antonio Picasso

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Articolo pubblicato per Linkiesta


La Commissione Ue ha proposto nuove misure contro le merci importate collegabili al fenomeno che danneggia l’ambiente, ma la scelta rischia di essere controproducente, addirittura minando la transizione ecologica

La proposta da parte della Commissione Europea di impedire l’ingresso al mercato comune a prodotti collegati alla deforestazione rischia di essere controproducente e di minare la natura globale della transizione ecologica. Il tentativo di implementare le cosiddette mirror clause, applicando quindi standard domestici anche ai prodotti importati, rischia di penalizzare i piccoli produttori e di disincentivarli a produrre sostenibilmente, rendendo l’Europa un partner commerciale economicamente sconveniente e politicamente alienante.  

La stretta sulla tracciabilità dei prodotti importati è una mossa coerente per un continente che vuole essere alfiere della green revolution, ma che ogni anno importa beni materiali riconducibili al 16% delle perdite forestali mondiali (Wwf). Con il nuovo progetto, presentato lo scorso novembre, si introduce l’obbligo di accertare la sostenibilità, definita in base alla normativa già in vigore in Ue, della coltivazione e produzione dei beni importati. La Commissione si farebbe inoltre carico di classificare i Paesi produttori a seconda del «rischio di deforestazione» che può essere alto, medio o basso a seconda delle leggi e pratiche locali. Il bollino determinerà a sua volta gli obblighi degli operatori europei.
Nel rispetto della tradizione brussellese, si prevede quindi una regolamentazione complessa e stratificata, il cui impatto è difficilmente valutabile ex ante, e che proprio per questo si presta a essere strumentalizzata. Gli importatori più pigri potranno usarla come giustificazione per abolire categoricamente tutti i prodotti provenienti da Paesi anche solo sospettati di qualificarsi come ad alto rischio.
 
Giocando di anticipo anche sull’approdo della bozza legislativa nelle aule di Strasburgo, diverse catene di grande distribuzione organizzata tra cui Lidl, Sainsbury’s, e la filiale francese di Auchan, hanno già dichiarato che dal 2022 smetteranno di vendere carne bovina proveniente dal Brasile o addirittura dall’America Latina in generale, sia essa certificata come sostenibile o meno.
 
Si tratta di boicottaggi tout court, che ignorano le ricadute economiche sui milioni di persone e famiglie che vivono della produzione su piccola scala di alcune delle merci indicate dalla Commissione Ue come maggiormente legate alla deforestazione. Come, ad esempio, l’olio di palma: si stima che nei prossimi anni oltre la metà della produzione mondiale – nel 2020 pari a 72 milioni di tonnellate – proverrà da piantagioni grandi cinque ettari o meno. Cioè cinque campi da calcio.

Qualsiasi dialogo sull’obiettivo ”zero deforestazione“, che la stessa Europa dice fondarsi sulla cooperazione tra produttori e consumatori, non può prescindere dai piccoli imprenditori che, come testimoniato dagli stessi nel convegno di dicembreSmall-Holders: Drivers of prosperity and sustainability” organizzato da Competere, sono già da anni impegnati in metodi di produzione sostenibili. Paradossalmente, sarebbero proprio loro a essere penalizzati dalle restrizioni e dai dazi indiscriminati usati per esportare gli standard ambientali europei.

Facendo un esempio pratico, la Colombia, terzo produttore mondiale di caffè, deve il 70% della sua produzione al mezzo milione di piccoli agricoltori che lavorano nell’entroterra equatoriale. Se l’Europa smettesse improvvisamente di essere loro acquirente, gli agricoltori si troverebbero davanti a un bivio: tentare di vendere ad altri Paesi, cercando di farsi strada in un mercato già saturo, oppure abbandonare le piantagioni di caffè per convertirle in coltivazioni più sicure e redditizie. Magari facendosi allettare da colture riconducibili alla criminalità internazionale. Prima fra tutte la coca. In ogni caso l’Europa ne uscirebbe perdente, con il rischio aggiuntivo di creare un gruppo di agricoltori più poveri e insoddisfatti di prima pronti a dare corda a chi come Jair Bolsonaro accusa l’Europa di strumentalizzare la sostenibilità per celare maldestri tentativi di proteggere la competitività dei propri prodotti alimentari.

Problemi mondiali quali la deforestazione necessitano di soluzioni altrettanto mondiali. Per potersi riconciliare con la globalizzazione, la sostenibilità deve basarsi su processi decisionali trasparenti e multilaterali, obbligatoriamente complessi, ma comprensivi delle necessità e delle rimostranze di tutti gli stakeholder. E soprattutto guidati da uno spirito di do ut des politico ed economico, per evitare che le tanto decantate virtù ecologiche dell’Europa si conquistino a discapito del benessere economico di milioni di persone, diventando invece carburante di populismi e sovranismi antitetici a una transizione davvero globale e inclusiva. Nessuno ha detto che sia facile

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